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www.mondoalpino.itSTORIA DEL PROGRESSIVE-ROCK
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Pagina 1 di 1
STORIA DEL PROGRESSIVE-ROCK
parte 1
Introduzione
Una volta si chiamava anche rock romantico, rock barocco, rock sinfonico, classic rock, art rock. Tutti termini fuorvianti, in parte ridicoli, inesatti, non esaustivi, infantili. Tutti comunque migliori di progressive.
Tutti i lettori che un minimo si interessano di musica rock sanno cos'è questo genere musicale che ha avuto il suo apogeo nella prima metà degli anni 70, magari non lo amano ma presumibilmente hanno ascoltato alcuni dischi dei principali gruppi e probabilmente possono, o ritengono di potere, riconoscere se un brano appartiene al progressive o meno.
Forse però le cose non sono così lineari. Cos'è che definisce il perimetro stilistico ed estetico del progressive ? Negli ultimi anni sono stati in parte attribuiti al genere, probabilmente al di là delle intenzioni degli autori, forme di espressione musicale recenti e apparentemente non legate primariamente a esso. Ed ecco che per gruppi come Radiohead, Sigur Ròs, Tarentel, Tortoise, Cerberus Schoal, Aloha, Muse, Godspeed You Black Emperor! si è riparlato di "progressive".
Il termine ha assunto così connotati molto sfumati, tanto sfumati che addirittura si è tentata una operazione retrospettiva attribuendo al genere forme musicali precedenti solitamente legate al rock-blues, alla psichedelia, al folk-rock, all'hard-rock. Così, con la massima disinvoltura, sono stati citati nel progressive i primi Fleetwood Mac, John Mayall, i Led Zeppelin, i Pentangle, i Cream ecc..
Diciamo subito una cosa: chi scrive è in completo disaccordo. Ma perché negli ultimi anni è stato assunto questo atteggiamento critico sia da chi non ama il progressive, diciamo nella notazione più classica, sia dagli appassionati? Difficile dirlo con certezza, ma alcuni elementi sono da sottolineare: gli appassionati di progressive, magari anche contemporaneo, sono da decenni bombardati da una critica musicale che manifesta una ferocia verso il genere a volte francamente vicina alla psicopatologia, critica frutto a sua volta del radicarsi di alcuni miti musical-antropologici come il rifiuto della sovrastrutturazione e dell'autocompiacimento vissuti come onanismo intellettuale, il rifiuto della pretenziosità vista come freddezza (il famoso "rock del vero sentire", una delle più grosse sciocchezze mai lette), il rifiuto della forma vista come assenza di sostanza (come se in musica esistesse qualcosa d'altro oltre la forma). Tutto questo ha lasciato il segno e la maggior parte dei prog-fan, quando è capitata l'opportunità di rompere l'accerchiamento immettendo nel genere musiche più criticamente accettate, ha colto la palla al balzo. I detrattori del prog, d'altra parte, non potendo ignorare l'importanza storica del movimento e la sua influenza, hanno di buon grado accettato di promuoverlo allargandone i limiti fino a ridurre il genere a qualcosa di meno definito e quindi più manipolabile dialetticamente. Entrambi hanno poi sfruttato il termine progressive stesso, da qui l'incipit della monografia, ponendo alla fine la definizione del genere non in relazione alla statica di uno stile, per quanto sfuggevole, ma in relazione alla dinamica di un'intenzione: progressive è diventato tutto ciò che "progredisce" verso altre forme di estetica musicale e ciò che prima era considerato progressive lo è stato nel suo tempo, ma ora tale "stile" non lo è più (e soprattutto non lo sono più gli epigoni del genere). Operazione alquanto ambigua.
Definire un oggetto in senso dinamico significa alla fine non definirlo, ponendo le basi della più completa aleatorietà. L'uso di qualunque termine presuppone un accordo di massima sui perimetri di definizione dell'oggetto, nessun termine può essere definito relazionandolo al vissuto o alla visione soggettiva di un osservatore. Nessuno accetterebbe la definizione di un aereo come di "una cosa che sta in aria e il cui rumore mi dà fastidio", né tantomeno di definire il treno "un mezzo innovativo per muovere persone e cose". Alla fine dell'800 era innovativo, adesso no. Rimane comunque un treno. Inoltre, se ci si dovesse attenere alla definizione dialettica si dovrebbe scrivere, oltre che degli Yes e dei Genesis, anche di Bach, Beethoven, Shoenberg, Ligeti, Zappa, Tangerine Dream, Black Sabbath, Burt Bacharach... Credo che tutti indistintamente troverebbero questo ridicolo.
Definire il progressive dunque come stile, definirne i perimetri estetici, l'humus emotivo. Non è così semplice. Sono stati, a mio parere a ragione, attribuiti in area progressive gruppi molto diversi, dal sinfonismo dei Renaissance agli sperimentalismi degli Henry Cow. Il progressive ha confini molto più vasti del blues o dell'heavy metal. Ma comunque li ha. Vediamo di definire alcuni punti.
- Il rifiuto programmatico della "forma canzone", il rifiuto della riduzione delle forme espressive del rock nell'ambito della rigidità strutturale del ritornello come fulcro dell'invenzione musicale.
- Il poter prevedere nell'ambito del dispiegarsi di tale invenzione la creazione di pezzi molto lunghi, anche suddivisi in sottosezioni, con l'alternarsi nello stesso brano di situazioni musicali molto diverse.
- Il massiccio utilizzo di cambi di tempo nella ritmica, spesso con tempi dispari.
- L'utilizzo di strumentazioni molto allargate che superino la triangolazione chitarra-basso-batteria, con un utilizzo massiccio di tastiere (in particolare due strumenti leggendari come l'organo hammond e il mellotron), vero "marchio di fabbrica" per moltissimi gruppi progressive, ma anche di strumenti a fiato e a volte intere sezioni d'archi o orchestre.
- Arrangiamenti molto ricchi e ridondanti, spesso con toni celebrativi e epici.
- L'uso di strutturazioni spesso ritmicamente e melodicamente complesse con marcato sfruttamento di situazioni armoniche mutuate dalla musica classica (sia barocca che romantica), ma spesso anche dal jazz, con il superamento parziale delle radici blues fino ad allora imprescindibili nel rock.
- In generale, lo svincolare la musica dal contesto sociale e/o politico; il progressive non riflette il reale ma al limite lo stempera nel fantastico, non porta messaggi sottotraccia ma solo estetismo fine a se stesso, puro, incontaminato, cristallino. Il progressive è rock che nasce e si sviluppa nella borghesia. Ovviamente a prescindere dalle opinioni sociali o politiche dei singoli musicisti.
- Un uso molto limitato dell'improvvisazione.
- L'uso di testi, grafica, diremo in generale "look", tendente al metaforico, criptico, fantastico.
- Un approccio strumentale tendenzialmente virtuosistico, con un rapporto quasi epico del musicista con il proprio strumento.
Chiaramente nella musica progressive tali elementi spesso non sono presenti contemporaneamente e alcuni elementi sono presenti in altri generi, specialmente nella psichedelia, che infatti ha diversi punti di contatto e forme di passaggio con il progressive, ma la sintesi di molti di questi elementi definiscono il genere.
Nell'ambito del progressive si annoverano dei capolavori così come dischi orrendi e ridicoli, minimo comune denominatore è comunque il tentativo, in parte riuscito, di vivere il rock come forma artistica in sé, senza alcuna altra determinazione (il divertimento, l'energia, l'aggressività, il ballo, lo sballo, il messaggio, il rilassamento).
In tal senso, il progressive, che un critico ha definito giustamente la forma matura, post-adolescenziale, del rock, è stato negli anni d'oro il centro di una rivoluzione copernicana in cui la "musica giovane" non è stata più giovane ma solo musica, e in cui il rock ha assunto una dignità artistica fino allora sconosciuta.
"La deliberata affermazione da parte mia, nel 1969, che era possibile nel rock richiamarsi alla testa oltre che ai piedi causò una sorta di esplosione passionale e fu considerata eretica" affermava Robert Fripp, e in tale frase si ha tutta la lucida programmazione del personaggio e le linee di sviluppo di tutto il genere.
Le Origini
Il progressive ha una data di nascita? Sì e no. Vedremo il perché. Anzitutto, prima di dare coordinate temporali, bisogna stabilire delle coordinate spaziali. Il progressive è un fenomeno principalmente europeo e in particolare inglese. Esistono e sono esistiti gruppi progressive a tutte le latitudini, dall'Est europeo all'Armenia, dal Sudamerica al Barhein, dal Giappone (dove il genere ha avuto e ha tutt'ora un certo seguito) all'Australia, ma nella sua massima espressione e nelle sue origini il progressive è un fenomeno inglese. Negli Stati Uniti, l'altro grande centro focale della musica rock, il progressive ha avuto espressione e diffusione limitata. Non è difficile capirne il motivo, una musica programmaticamente antispontaneistica, velleitaria, lontana in tutti i sensi dalle radici "nere" del rock e che tenta di legarsi, a volte in maniera anche posticcia, alla tradizione classica, è quanto di più lontano dalle forme estetiche ed emotive del rock statunitense.
Ma c'è un primo disco progressive? A parere di chi scrive, esistono nodi inespressi di progressive in nuce, embrionale, in alcune espressioni legate al pop, alla psichedelia o al rock-blues; alcuni esempi? i Beatles di "Sgt. Pepper's" (1967) o anche di "Abbey Road" (ma siamo già nel 1969), il rock blues barocco dei Colosseum ("Those Who Are About To Die" ma soprattutto il capolavoro "Valentyne Suite", del 1969 ma anche dello splendido John Mayall di "Bare Wires" del 1968 (con peraltro i Colosseum quasi al completo), nella acuta psichedelia (statunitense) dei Love di "Forever Changes", nei Pretty Things di "S.F. Sorrow"; tornando in Inghilterra, difficile non scorgere germi progressivi nel rock atipico dei Family dell'esordio di "Music In A Doll's House" (1968) e del successivo "Family Entertainment". Naturalmente nella scena della fine degli anni 60 andrebbero segnalati come proto-prog anche le opere prime dei Caravan, dei Soft Machine e dei primissimi Pink Floyd, tutti gruppi però meritevoli di una trattazione a parte. Nella maggior parte dei casi non si tratta di progressive, certamente, ma si nota un'ambizione e una tensione musicale che si esprimono con evidenti tentativi sovrastrutturali, manca completamente la cristallizzazione di uno stile nell'atto compositivo ed esecutivo, vi è però presente una potenzialità e intenzionalità primitiva. Non è progressive, ma se ne colgono le precondizioni.
Più propriamente legate al genere nella sua gestazione iniziale, e su questo la critica appare concorde, le proposte di tre gruppi: i Nice, i Moody Blues e i Procol Harum.
I Nice sono il gruppo in cui milita Keith Emerson, successivamente negli Emerson Lake and Palmer, nel bene e nel male tastierista simbolo di un'epoca, ed esordiscono nel 1967 con "The Thoughts Of Emerlist Davjack", miscela ingenua di ipotesi di rock sinfonico embrionale e psichedelia, per poi proseguire nel 1969 con i due dischi più significativi della loro discografia, "Ars Longa Vita Brevis" e "The Nice", in cui il talento di Emerson comincia a manifestarsi appieno e a strabordare nel contaminare il rock con ipotesi estroverse di classicismo, con rivisitazioni al contempo ingenue e affascinanti anche di alcuni classici (Rachmaninov, Sibelius).
Sinfonismo che tentano anche i Moody Blues, che nel 1967 con l'esordio di "Days Of Future Passed" utilizzano una intera orchestra sinfonica oltre a una sovrabbondanza di tastiere (sono uno dei primi gruppi a utilizzare il mellotron) per sovrarrangiare i loro pezzi. Tale formula verrà ripetuta anche nei dischi successivi, si tratta però in realtà di un'operazione un po' posticcia, essendo i brani ancora fermamente legati al pop e alla lezione dei Beatles.
Più convincente, la proposta dei Procol Harum, gruppo celeberrimo per via di alcuni hit generazionali ("A Whiter Shade Of Pale" su tutti ma anche "Homburg" e "A Salty Dog"), ma in realtà spesso sconosciuto al di là di tali pezzi anche ai fan del progressive, che faticano a riconoscere nella loro proposta musicale un antecedente importante del genere nella sua compiutezza. E sì che il loro disco d'esordio del 1968 è godibilissimo nell'unire un impianto melodico pop, ma mai banale, con arrangiamenti anche ricchi e ridondanti, dominati dall'organo del leader Gary Brooker. Ancora meglio farà "Shine On Brigthly" l'anno successivo, con brani più complessi e nei quali appare addirittura una suite ("In Held Twas In I"), che avvicina strutturalmente ancor di più il gruppo a un progressive compiuto.
Ma allora esiste un primo disco progressive? Esiste un inizio? In parte no, per gli antecedenti che abbiamo appena visto, in parte sì, esiste una data d'inizio: il 10 ottobre del 1969, data di uscita dell'opera prima dei King Crimson, il celeberrimo "In The Court Of The Crimson King", disco tra i capolavori del progressive e del rock tutto.
Introduzione
Una volta si chiamava anche rock romantico, rock barocco, rock sinfonico, classic rock, art rock. Tutti termini fuorvianti, in parte ridicoli, inesatti, non esaustivi, infantili. Tutti comunque migliori di progressive.
Tutti i lettori che un minimo si interessano di musica rock sanno cos'è questo genere musicale che ha avuto il suo apogeo nella prima metà degli anni 70, magari non lo amano ma presumibilmente hanno ascoltato alcuni dischi dei principali gruppi e probabilmente possono, o ritengono di potere, riconoscere se un brano appartiene al progressive o meno.
Forse però le cose non sono così lineari. Cos'è che definisce il perimetro stilistico ed estetico del progressive ? Negli ultimi anni sono stati in parte attribuiti al genere, probabilmente al di là delle intenzioni degli autori, forme di espressione musicale recenti e apparentemente non legate primariamente a esso. Ed ecco che per gruppi come Radiohead, Sigur Ròs, Tarentel, Tortoise, Cerberus Schoal, Aloha, Muse, Godspeed You Black Emperor! si è riparlato di "progressive".
Il termine ha assunto così connotati molto sfumati, tanto sfumati che addirittura si è tentata una operazione retrospettiva attribuendo al genere forme musicali precedenti solitamente legate al rock-blues, alla psichedelia, al folk-rock, all'hard-rock. Così, con la massima disinvoltura, sono stati citati nel progressive i primi Fleetwood Mac, John Mayall, i Led Zeppelin, i Pentangle, i Cream ecc..
Diciamo subito una cosa: chi scrive è in completo disaccordo. Ma perché negli ultimi anni è stato assunto questo atteggiamento critico sia da chi non ama il progressive, diciamo nella notazione più classica, sia dagli appassionati? Difficile dirlo con certezza, ma alcuni elementi sono da sottolineare: gli appassionati di progressive, magari anche contemporaneo, sono da decenni bombardati da una critica musicale che manifesta una ferocia verso il genere a volte francamente vicina alla psicopatologia, critica frutto a sua volta del radicarsi di alcuni miti musical-antropologici come il rifiuto della sovrastrutturazione e dell'autocompiacimento vissuti come onanismo intellettuale, il rifiuto della pretenziosità vista come freddezza (il famoso "rock del vero sentire", una delle più grosse sciocchezze mai lette), il rifiuto della forma vista come assenza di sostanza (come se in musica esistesse qualcosa d'altro oltre la forma). Tutto questo ha lasciato il segno e la maggior parte dei prog-fan, quando è capitata l'opportunità di rompere l'accerchiamento immettendo nel genere musiche più criticamente accettate, ha colto la palla al balzo. I detrattori del prog, d'altra parte, non potendo ignorare l'importanza storica del movimento e la sua influenza, hanno di buon grado accettato di promuoverlo allargandone i limiti fino a ridurre il genere a qualcosa di meno definito e quindi più manipolabile dialetticamente. Entrambi hanno poi sfruttato il termine progressive stesso, da qui l'incipit della monografia, ponendo alla fine la definizione del genere non in relazione alla statica di uno stile, per quanto sfuggevole, ma in relazione alla dinamica di un'intenzione: progressive è diventato tutto ciò che "progredisce" verso altre forme di estetica musicale e ciò che prima era considerato progressive lo è stato nel suo tempo, ma ora tale "stile" non lo è più (e soprattutto non lo sono più gli epigoni del genere). Operazione alquanto ambigua.
Definire un oggetto in senso dinamico significa alla fine non definirlo, ponendo le basi della più completa aleatorietà. L'uso di qualunque termine presuppone un accordo di massima sui perimetri di definizione dell'oggetto, nessun termine può essere definito relazionandolo al vissuto o alla visione soggettiva di un osservatore. Nessuno accetterebbe la definizione di un aereo come di "una cosa che sta in aria e il cui rumore mi dà fastidio", né tantomeno di definire il treno "un mezzo innovativo per muovere persone e cose". Alla fine dell'800 era innovativo, adesso no. Rimane comunque un treno. Inoltre, se ci si dovesse attenere alla definizione dialettica si dovrebbe scrivere, oltre che degli Yes e dei Genesis, anche di Bach, Beethoven, Shoenberg, Ligeti, Zappa, Tangerine Dream, Black Sabbath, Burt Bacharach... Credo che tutti indistintamente troverebbero questo ridicolo.
Definire il progressive dunque come stile, definirne i perimetri estetici, l'humus emotivo. Non è così semplice. Sono stati, a mio parere a ragione, attribuiti in area progressive gruppi molto diversi, dal sinfonismo dei Renaissance agli sperimentalismi degli Henry Cow. Il progressive ha confini molto più vasti del blues o dell'heavy metal. Ma comunque li ha. Vediamo di definire alcuni punti.
- Il rifiuto programmatico della "forma canzone", il rifiuto della riduzione delle forme espressive del rock nell'ambito della rigidità strutturale del ritornello come fulcro dell'invenzione musicale.
- Il poter prevedere nell'ambito del dispiegarsi di tale invenzione la creazione di pezzi molto lunghi, anche suddivisi in sottosezioni, con l'alternarsi nello stesso brano di situazioni musicali molto diverse.
- Il massiccio utilizzo di cambi di tempo nella ritmica, spesso con tempi dispari.
- L'utilizzo di strumentazioni molto allargate che superino la triangolazione chitarra-basso-batteria, con un utilizzo massiccio di tastiere (in particolare due strumenti leggendari come l'organo hammond e il mellotron), vero "marchio di fabbrica" per moltissimi gruppi progressive, ma anche di strumenti a fiato e a volte intere sezioni d'archi o orchestre.
- Arrangiamenti molto ricchi e ridondanti, spesso con toni celebrativi e epici.
- L'uso di strutturazioni spesso ritmicamente e melodicamente complesse con marcato sfruttamento di situazioni armoniche mutuate dalla musica classica (sia barocca che romantica), ma spesso anche dal jazz, con il superamento parziale delle radici blues fino ad allora imprescindibili nel rock.
- In generale, lo svincolare la musica dal contesto sociale e/o politico; il progressive non riflette il reale ma al limite lo stempera nel fantastico, non porta messaggi sottotraccia ma solo estetismo fine a se stesso, puro, incontaminato, cristallino. Il progressive è rock che nasce e si sviluppa nella borghesia. Ovviamente a prescindere dalle opinioni sociali o politiche dei singoli musicisti.
- Un uso molto limitato dell'improvvisazione.
- L'uso di testi, grafica, diremo in generale "look", tendente al metaforico, criptico, fantastico.
- Un approccio strumentale tendenzialmente virtuosistico, con un rapporto quasi epico del musicista con il proprio strumento.
Chiaramente nella musica progressive tali elementi spesso non sono presenti contemporaneamente e alcuni elementi sono presenti in altri generi, specialmente nella psichedelia, che infatti ha diversi punti di contatto e forme di passaggio con il progressive, ma la sintesi di molti di questi elementi definiscono il genere.
Nell'ambito del progressive si annoverano dei capolavori così come dischi orrendi e ridicoli, minimo comune denominatore è comunque il tentativo, in parte riuscito, di vivere il rock come forma artistica in sé, senza alcuna altra determinazione (il divertimento, l'energia, l'aggressività, il ballo, lo sballo, il messaggio, il rilassamento).
In tal senso, il progressive, che un critico ha definito giustamente la forma matura, post-adolescenziale, del rock, è stato negli anni d'oro il centro di una rivoluzione copernicana in cui la "musica giovane" non è stata più giovane ma solo musica, e in cui il rock ha assunto una dignità artistica fino allora sconosciuta.
"La deliberata affermazione da parte mia, nel 1969, che era possibile nel rock richiamarsi alla testa oltre che ai piedi causò una sorta di esplosione passionale e fu considerata eretica" affermava Robert Fripp, e in tale frase si ha tutta la lucida programmazione del personaggio e le linee di sviluppo di tutto il genere.
Le Origini
Il progressive ha una data di nascita? Sì e no. Vedremo il perché. Anzitutto, prima di dare coordinate temporali, bisogna stabilire delle coordinate spaziali. Il progressive è un fenomeno principalmente europeo e in particolare inglese. Esistono e sono esistiti gruppi progressive a tutte le latitudini, dall'Est europeo all'Armenia, dal Sudamerica al Barhein, dal Giappone (dove il genere ha avuto e ha tutt'ora un certo seguito) all'Australia, ma nella sua massima espressione e nelle sue origini il progressive è un fenomeno inglese. Negli Stati Uniti, l'altro grande centro focale della musica rock, il progressive ha avuto espressione e diffusione limitata. Non è difficile capirne il motivo, una musica programmaticamente antispontaneistica, velleitaria, lontana in tutti i sensi dalle radici "nere" del rock e che tenta di legarsi, a volte in maniera anche posticcia, alla tradizione classica, è quanto di più lontano dalle forme estetiche ed emotive del rock statunitense.
Ma c'è un primo disco progressive? A parere di chi scrive, esistono nodi inespressi di progressive in nuce, embrionale, in alcune espressioni legate al pop, alla psichedelia o al rock-blues; alcuni esempi? i Beatles di "Sgt. Pepper's" (1967) o anche di "Abbey Road" (ma siamo già nel 1969), il rock blues barocco dei Colosseum ("Those Who Are About To Die" ma soprattutto il capolavoro "Valentyne Suite", del 1969 ma anche dello splendido John Mayall di "Bare Wires" del 1968 (con peraltro i Colosseum quasi al completo), nella acuta psichedelia (statunitense) dei Love di "Forever Changes", nei Pretty Things di "S.F. Sorrow"; tornando in Inghilterra, difficile non scorgere germi progressivi nel rock atipico dei Family dell'esordio di "Music In A Doll's House" (1968) e del successivo "Family Entertainment". Naturalmente nella scena della fine degli anni 60 andrebbero segnalati come proto-prog anche le opere prime dei Caravan, dei Soft Machine e dei primissimi Pink Floyd, tutti gruppi però meritevoli di una trattazione a parte. Nella maggior parte dei casi non si tratta di progressive, certamente, ma si nota un'ambizione e una tensione musicale che si esprimono con evidenti tentativi sovrastrutturali, manca completamente la cristallizzazione di uno stile nell'atto compositivo ed esecutivo, vi è però presente una potenzialità e intenzionalità primitiva. Non è progressive, ma se ne colgono le precondizioni.
Più propriamente legate al genere nella sua gestazione iniziale, e su questo la critica appare concorde, le proposte di tre gruppi: i Nice, i Moody Blues e i Procol Harum.
I Nice sono il gruppo in cui milita Keith Emerson, successivamente negli Emerson Lake and Palmer, nel bene e nel male tastierista simbolo di un'epoca, ed esordiscono nel 1967 con "The Thoughts Of Emerlist Davjack", miscela ingenua di ipotesi di rock sinfonico embrionale e psichedelia, per poi proseguire nel 1969 con i due dischi più significativi della loro discografia, "Ars Longa Vita Brevis" e "The Nice", in cui il talento di Emerson comincia a manifestarsi appieno e a strabordare nel contaminare il rock con ipotesi estroverse di classicismo, con rivisitazioni al contempo ingenue e affascinanti anche di alcuni classici (Rachmaninov, Sibelius).
Sinfonismo che tentano anche i Moody Blues, che nel 1967 con l'esordio di "Days Of Future Passed" utilizzano una intera orchestra sinfonica oltre a una sovrabbondanza di tastiere (sono uno dei primi gruppi a utilizzare il mellotron) per sovrarrangiare i loro pezzi. Tale formula verrà ripetuta anche nei dischi successivi, si tratta però in realtà di un'operazione un po' posticcia, essendo i brani ancora fermamente legati al pop e alla lezione dei Beatles.
Più convincente, la proposta dei Procol Harum, gruppo celeberrimo per via di alcuni hit generazionali ("A Whiter Shade Of Pale" su tutti ma anche "Homburg" e "A Salty Dog"), ma in realtà spesso sconosciuto al di là di tali pezzi anche ai fan del progressive, che faticano a riconoscere nella loro proposta musicale un antecedente importante del genere nella sua compiutezza. E sì che il loro disco d'esordio del 1968 è godibilissimo nell'unire un impianto melodico pop, ma mai banale, con arrangiamenti anche ricchi e ridondanti, dominati dall'organo del leader Gary Brooker. Ancora meglio farà "Shine On Brigthly" l'anno successivo, con brani più complessi e nei quali appare addirittura una suite ("In Held Twas In I"), che avvicina strutturalmente ancor di più il gruppo a un progressive compiuto.
Ma allora esiste un primo disco progressive? Esiste un inizio? In parte no, per gli antecedenti che abbiamo appena visto, in parte sì, esiste una data d'inizio: il 10 ottobre del 1969, data di uscita dell'opera prima dei King Crimson, il celeberrimo "In The Court Of The Crimson King", disco tra i capolavori del progressive e del rock tutto.
Ospite- Ospite
In the court of the Crimson king
KING CRIMSON In The Court Of The Crimson King (Island) 1969
Sembra quasi di sentirlo, l'urlo dell'uomo schizoide, guardando l'immagine trasfigurata della copertina di questo capolavoro assoluto del progressive rock britannico. Barry Godber riesce, attraverso la sua grottesca raffigurazione, a creare il vortice inesorabile che, partendo dalla cavità orale del "profetico mostro", giunge all'orecchio dell'ascoltatore.
"In The Court of the Crimson King" è la prima fatica dei King Crimson, un'opera che rimarrà inevitabilmente un microcosmo a sé stante, nonostante gli impeccabili lavori realizzati in seguito dalla band di Robert Fripp. Atmosfere surreali e incantate, lunghe suite romantiche e complesse architetture sonore segnano un album che, a distanza di tanti anni, riesce ancora ad apparire moderno.
E' 1969, un periodo in cui sulla scena britannica sono già sbocciate imponenti formazioni del calibro di Genesis, Soft Machine, Yes. Siamo in piena era progressiva, influenzata da più generi musicali quali il jazz, la musica classica e la musica atonale contemporanea. Il genio di Robert Fripp unito alla sua prima formazione, guidata dall'eccellente paroliere Peter Sinfield, plasmano con cura queste cinque tracce, magistralmente incatenate tra di loro, nel tentativo di generare un nuovo ordine musicale.
La voce distorta di Greg Lake, futuro leader degli Emerson, Lake & Palmer, apre il primo atto della rappresentazione: "21th Century Schizoid Man". Un inizio a dir poco spiazzante, composizione frenetica, rumorista, ma allo stesso tempo melodica, che si incastra alla perfezione con la seconda traccia dell'album: "I Talk To The Wind". Il flauto di Ian McDonald si unisce alla lucida tranquillità della voce di Lake, in una quiete irreale, che fa presagire la tristezza contenuta della traccia successiva, la dolente "Epitaph". Il mellotron fa sentire la sua voce, il mostro urla di dolore: è un epitaffio ("Confusion will be my epitaph") che riguarda l'intera umanità; "But I fear tomorrow I'll be crying" profetizza Lake alla fine del pezzo.
Si chiude il primo atto e si torna nell'illusione onirica e nella quiete stagnante di "Moonchild". La voce di Lake diventa sempre più flebile fino a lasciare spazio all'agonia dissonante degli strumenti degli altri musicisti, per una pura gemma free-form. Fervono i preparativi, i componenti della band, al seguito di Fripp, stanno per entrare alla corte del Re Cremisi. E' l'ultimo atto: "The Court of the Crimson King". Il suono del mellotron si fa sempre più incalzante e Lake conclude la sua parte seguito dai compagni che ribattono con un tono corale ossessivo e lancinante. Magnifico, in particolare, l'assolo al flauto di Ian McDonald. Sembra la fine, ma dando un'occhiata all'interno della copertina, ci accoglie il sorriso grottesco eppur rassicurante di un volto decisamente più umano. Sembra quasi elogiare la follia già annunciata secoli prima da Erasmo e perseguita con coraggio da Fripp e compagni.
Si chiude così il primo capitolo dei King Crimson. Le formazioni cambieranno numerose volte nell'arco di trent'anni gravitando attorno alla sagoma imperiosa di Fripp, che cambierà marcia passando dal progressive più genuino dei primi tempi a successive elucubrazioni a volte apprezzabili, a volte forse un po' troppo pretenziose. I tempi cambiano e, ascoltando gli ultimi lavori del gruppo, risulta ormai difficile sentire l'urlo dell'Uomo Schizoide del Ventunesimo Secolo, ma resta pur sempre il suo sguardo allucinato che custodisce i suoni di un'opera che resta tuttora unica nel suo genere.
Sembra quasi di sentirlo, l'urlo dell'uomo schizoide, guardando l'immagine trasfigurata della copertina di questo capolavoro assoluto del progressive rock britannico. Barry Godber riesce, attraverso la sua grottesca raffigurazione, a creare il vortice inesorabile che, partendo dalla cavità orale del "profetico mostro", giunge all'orecchio dell'ascoltatore.
"In The Court of the Crimson King" è la prima fatica dei King Crimson, un'opera che rimarrà inevitabilmente un microcosmo a sé stante, nonostante gli impeccabili lavori realizzati in seguito dalla band di Robert Fripp. Atmosfere surreali e incantate, lunghe suite romantiche e complesse architetture sonore segnano un album che, a distanza di tanti anni, riesce ancora ad apparire moderno.
E' 1969, un periodo in cui sulla scena britannica sono già sbocciate imponenti formazioni del calibro di Genesis, Soft Machine, Yes. Siamo in piena era progressiva, influenzata da più generi musicali quali il jazz, la musica classica e la musica atonale contemporanea. Il genio di Robert Fripp unito alla sua prima formazione, guidata dall'eccellente paroliere Peter Sinfield, plasmano con cura queste cinque tracce, magistralmente incatenate tra di loro, nel tentativo di generare un nuovo ordine musicale.
La voce distorta di Greg Lake, futuro leader degli Emerson, Lake & Palmer, apre il primo atto della rappresentazione: "21th Century Schizoid Man". Un inizio a dir poco spiazzante, composizione frenetica, rumorista, ma allo stesso tempo melodica, che si incastra alla perfezione con la seconda traccia dell'album: "I Talk To The Wind". Il flauto di Ian McDonald si unisce alla lucida tranquillità della voce di Lake, in una quiete irreale, che fa presagire la tristezza contenuta della traccia successiva, la dolente "Epitaph". Il mellotron fa sentire la sua voce, il mostro urla di dolore: è un epitaffio ("Confusion will be my epitaph") che riguarda l'intera umanità; "But I fear tomorrow I'll be crying" profetizza Lake alla fine del pezzo.
Si chiude il primo atto e si torna nell'illusione onirica e nella quiete stagnante di "Moonchild". La voce di Lake diventa sempre più flebile fino a lasciare spazio all'agonia dissonante degli strumenti degli altri musicisti, per una pura gemma free-form. Fervono i preparativi, i componenti della band, al seguito di Fripp, stanno per entrare alla corte del Re Cremisi. E' l'ultimo atto: "The Court of the Crimson King". Il suono del mellotron si fa sempre più incalzante e Lake conclude la sua parte seguito dai compagni che ribattono con un tono corale ossessivo e lancinante. Magnifico, in particolare, l'assolo al flauto di Ian McDonald. Sembra la fine, ma dando un'occhiata all'interno della copertina, ci accoglie il sorriso grottesco eppur rassicurante di un volto decisamente più umano. Sembra quasi elogiare la follia già annunciata secoli prima da Erasmo e perseguita con coraggio da Fripp e compagni.
Si chiude così il primo capitolo dei King Crimson. Le formazioni cambieranno numerose volte nell'arco di trent'anni gravitando attorno alla sagoma imperiosa di Fripp, che cambierà marcia passando dal progressive più genuino dei primi tempi a successive elucubrazioni a volte apprezzabili, a volte forse un po' troppo pretenziose. I tempi cambiano e, ascoltando gli ultimi lavori del gruppo, risulta ormai difficile sentire l'urlo dell'Uomo Schizoide del Ventunesimo Secolo, ma resta pur sempre il suo sguardo allucinato che custodisce i suoni di un'opera che resta tuttora unica nel suo genere.
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STORIA DEL PROGRESSIVE-ROCK
parte 2
L'età dell'oro (1969-1976)
Dopo "In The Court Of The Crimson King" il progressive esplode e fino a metà degli anni 70 è il genere di riferimento e di maggior espansione del rock. Molti sono i gruppi, moltissime le proposte anche con sfumature molto diverse, tali da rendere difficile stabilirne un perimetro univoco, ma sostanzialmente il progressive artisticamente, commercialmente e storicamente si basa sull'opera di pochi grandi gruppi capiscuola che ne costituiscono il punto focale.
Innanzi tutto, naturalmente, i King Crimson che sono, nell'ambito del progressive, il gruppo più raffinato e più ambizioso oltre che il più sfuggevole e camaleontico. Leader indiscusso, specialmente dopo l'esordio di "In The Court Of The Crimson King", è il chitarrista Robert Fripp: linguaggio forbito, spesso verboso, ironico, distaccato, intellettuale, è l'antitesi dell'iconografia del musicista rock fino ad allora in voga. Non beve e non si droga, o per lo meno tali aspetti restano nel privato, le sue azioni, parole e musica non hanno nulla di spontaneo e viscerale, sul palco suona spesso seduto, algido e distante, in tal senso è il paradigma del musicista progressive, l'incarnazione di un programma e di un'idea.
Dopo l'esordio, l'anno successivo esce "In The Wake Of Poseidon", album interlocutorio seppur affascinante che ricalca il primo capolavoro; Fripp sfalda e ricompone il gruppo sempre più instabile ma dall'instabilità nascono due gioielli "Lizard" (1970) e "Island" (1971). Dischi di una raffinatezza irreale, appena un po' leziosi, godono di una scrittura musicale felicissima, molto colta con ridondanti riferimenti classici e jazzistici (vi suona anche il grande pianista jazz Keith Tippett), di un'astrazione delicatissima. La progettualità di Fripp è di altissimo livello, una sfida: il termine art-rock vive in questa fase del gruppo il suo significato più pieno.
Con "Island" termina la prima fase del gruppo che si scioglie, ma Fripp ha ancora dei progetti e riforma la band con una sezione ritmica potentissima e strabiliante costituita da Bill Bruford (ex Yes), John Wetton (ex Family) e, ma solo agli esordi, dal percussionista Jaime Muir, con il violinista David Cross che sostituisce il sax di Mel Collins alla seconda voce solista. Nel biennio 1973-'74 il gruppo dà alle stampe tre dischi, "Lark's Tongues In Aspic", "Starless And Bible Black" e, a gruppo ormai disciolto, "Red". Sono dischi potenti, lontanissimi dal sinfonismo e dalle contaminazioni precedenti, a tratti aspri, ancora oggi modernissimi (e imitati) nel loro dispiegarsi nervoso e nel chitarrismo secco e tagliente di un Fripp lucidissimo. Imperdibili le testimonianze live di tale gruppo, per la maggior parte postume, molto superiori nel loro maggior coefficiente di disordine e improvvisazione, rispetto ai prodotti in studio. Seguono anni di silenzio. Il gruppo riappare dopo sette anni, nel 1981, con un'ennesima formazione, il risultato è lo splendido "Discipline" con un sound modernissimo, caratterizzato dal dialogo tra le chitarre di Fripp e Belew.
Il gruppo proseguirà poi fino ai nostri giorni, nel massimo rispetto della critica, non fossilizzando mai il suono, ma anzi ponendosi sempre in una prospettiva dinamica e ispirando anche gruppi contemporanei come i Tool, i Muse e i Don Caballero.
Simbolo del progressive stesso però non sono i Crimson ma i Genesis, il gruppo più famoso e più immediatamente identificabile con il genere nella sua accezione più romantica e favolistica. Caratteristiche del gruppo sono una solidissima struttura compositiva, una forte articolazione dei brani, le fughe tastieristiche (Tony Banks), parti chitarristiche sia in arpeggio che solistiche (Steve Hackett) di grande suggestione quasi pittorica, una voce non potentissima ma fortemente teatrale ed evocativa (come sbagliare... Peter Gabriel). Dopo un esordio ingenuo quanto promettente ("From Genesis To Revelation", 1969) e un disco successivo molto più maturo, molto bello ma ancora fuori fuoco ("Trespass", 1970) il gruppo inanella dal 1971 al 1974 una serie di capolavori ("Nursery Crime", "Foxtrot", "Selling England By The Pound" e "The Lamb Lies Down On Broadway"). In particolare quest'ultimo, un concept album nel vero senso del termine, è considerabile per la qualità della musica e per l'organicità dell'insieme, uno dei vertici, se non il vertice, del progressive tutto. "The Lamb" è disco anche sotteso, a differenza dei predecessori, da una tensione sotterranea, da un'asperità sottile, disco di epicità urbana, nasconde tra i suoi solchi un'idea di progressive già in parte diversa dagli esordi e in parte relazionabile successivamente al Gabriel solista. Dopo "The lamb", infatti, Gabriel se ne va, sostituito a sorpresa dal batterista Phil Collins, ma è ancora Tony Banks a reggere musicalmente il gruppo e seguono dischi di ottimo livello ("A Trick Of The Tail" ma soprattutto "Wind And Wuthering" e "And Then There Were Three"), poi Collins comincia compositivamente a farsi spazio e i Genesis degli anni 80 virano decisamente verso un pop, a volte anche di qualità e di enorme successo, ma molto distante dal progressive degli esordi, che sempre più raramente e residualmente fa capolino nei loro dischi. Quindi, se ne va anche Collins, i fan sperano in un ritorno di antichi fuochi incolpando il batterista, solista di successo, della deriva commerciale, ma "Calling All Stations" (1997), con il quasi carneade Ray Wilson alla voce, non aggiunge niente al repertorio del gruppo e ne decreta invece la fine artistica e commerciale.
L'età dell'oro (1969-1976)
Dopo "In The Court Of The Crimson King" il progressive esplode e fino a metà degli anni 70 è il genere di riferimento e di maggior espansione del rock. Molti sono i gruppi, moltissime le proposte anche con sfumature molto diverse, tali da rendere difficile stabilirne un perimetro univoco, ma sostanzialmente il progressive artisticamente, commercialmente e storicamente si basa sull'opera di pochi grandi gruppi capiscuola che ne costituiscono il punto focale.
Innanzi tutto, naturalmente, i King Crimson che sono, nell'ambito del progressive, il gruppo più raffinato e più ambizioso oltre che il più sfuggevole e camaleontico. Leader indiscusso, specialmente dopo l'esordio di "In The Court Of The Crimson King", è il chitarrista Robert Fripp: linguaggio forbito, spesso verboso, ironico, distaccato, intellettuale, è l'antitesi dell'iconografia del musicista rock fino ad allora in voga. Non beve e non si droga, o per lo meno tali aspetti restano nel privato, le sue azioni, parole e musica non hanno nulla di spontaneo e viscerale, sul palco suona spesso seduto, algido e distante, in tal senso è il paradigma del musicista progressive, l'incarnazione di un programma e di un'idea.
Dopo l'esordio, l'anno successivo esce "In The Wake Of Poseidon", album interlocutorio seppur affascinante che ricalca il primo capolavoro; Fripp sfalda e ricompone il gruppo sempre più instabile ma dall'instabilità nascono due gioielli "Lizard" (1970) e "Island" (1971). Dischi di una raffinatezza irreale, appena un po' leziosi, godono di una scrittura musicale felicissima, molto colta con ridondanti riferimenti classici e jazzistici (vi suona anche il grande pianista jazz Keith Tippett), di un'astrazione delicatissima. La progettualità di Fripp è di altissimo livello, una sfida: il termine art-rock vive in questa fase del gruppo il suo significato più pieno.
Con "Island" termina la prima fase del gruppo che si scioglie, ma Fripp ha ancora dei progetti e riforma la band con una sezione ritmica potentissima e strabiliante costituita da Bill Bruford (ex Yes), John Wetton (ex Family) e, ma solo agli esordi, dal percussionista Jaime Muir, con il violinista David Cross che sostituisce il sax di Mel Collins alla seconda voce solista. Nel biennio 1973-'74 il gruppo dà alle stampe tre dischi, "Lark's Tongues In Aspic", "Starless And Bible Black" e, a gruppo ormai disciolto, "Red". Sono dischi potenti, lontanissimi dal sinfonismo e dalle contaminazioni precedenti, a tratti aspri, ancora oggi modernissimi (e imitati) nel loro dispiegarsi nervoso e nel chitarrismo secco e tagliente di un Fripp lucidissimo. Imperdibili le testimonianze live di tale gruppo, per la maggior parte postume, molto superiori nel loro maggior coefficiente di disordine e improvvisazione, rispetto ai prodotti in studio. Seguono anni di silenzio. Il gruppo riappare dopo sette anni, nel 1981, con un'ennesima formazione, il risultato è lo splendido "Discipline" con un sound modernissimo, caratterizzato dal dialogo tra le chitarre di Fripp e Belew.
Il gruppo proseguirà poi fino ai nostri giorni, nel massimo rispetto della critica, non fossilizzando mai il suono, ma anzi ponendosi sempre in una prospettiva dinamica e ispirando anche gruppi contemporanei come i Tool, i Muse e i Don Caballero.
Simbolo del progressive stesso però non sono i Crimson ma i Genesis, il gruppo più famoso e più immediatamente identificabile con il genere nella sua accezione più romantica e favolistica. Caratteristiche del gruppo sono una solidissima struttura compositiva, una forte articolazione dei brani, le fughe tastieristiche (Tony Banks), parti chitarristiche sia in arpeggio che solistiche (Steve Hackett) di grande suggestione quasi pittorica, una voce non potentissima ma fortemente teatrale ed evocativa (come sbagliare... Peter Gabriel). Dopo un esordio ingenuo quanto promettente ("From Genesis To Revelation", 1969) e un disco successivo molto più maturo, molto bello ma ancora fuori fuoco ("Trespass", 1970) il gruppo inanella dal 1971 al 1974 una serie di capolavori ("Nursery Crime", "Foxtrot", "Selling England By The Pound" e "The Lamb Lies Down On Broadway"). In particolare quest'ultimo, un concept album nel vero senso del termine, è considerabile per la qualità della musica e per l'organicità dell'insieme, uno dei vertici, se non il vertice, del progressive tutto. "The Lamb" è disco anche sotteso, a differenza dei predecessori, da una tensione sotterranea, da un'asperità sottile, disco di epicità urbana, nasconde tra i suoi solchi un'idea di progressive già in parte diversa dagli esordi e in parte relazionabile successivamente al Gabriel solista. Dopo "The lamb", infatti, Gabriel se ne va, sostituito a sorpresa dal batterista Phil Collins, ma è ancora Tony Banks a reggere musicalmente il gruppo e seguono dischi di ottimo livello ("A Trick Of The Tail" ma soprattutto "Wind And Wuthering" e "And Then There Were Three"), poi Collins comincia compositivamente a farsi spazio e i Genesis degli anni 80 virano decisamente verso un pop, a volte anche di qualità e di enorme successo, ma molto distante dal progressive degli esordi, che sempre più raramente e residualmente fa capolino nei loro dischi. Quindi, se ne va anche Collins, i fan sperano in un ritorno di antichi fuochi incolpando il batterista, solista di successo, della deriva commerciale, ma "Calling All Stations" (1997), con il quasi carneade Ray Wilson alla voce, non aggiunge niente al repertorio del gruppo e ne decreta invece la fine artistica e commerciale.
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STORIA DEL PROGRESSIVE-ROCK
parte 3
L'età dell'oro (1969-1976)
Altro "totem" del progressive, nonché gruppo retrospettivamente più dilaniato dalla critica, gli Emerson Lake And Palmer nascono dalle ceneri dei Nice e hanno come figura cardine il tastierista Keith Emerson. Il gruppo propone un progressive incentrato sulle tastiere del leader, funambolico, narcistista fino al paradosso, tronfio e trionfalista, paradigmaticamente kitsch nell'ostentato riferirsi a modelli classici. La critica avrà buon gioco nell'identificare il gruppo come massima espressione degli aspetti ritenuti degenerativi del progressive stesso.
In realtà, gli Elp sono ottimi musicisti, e in particolare Emerson è autore tutt'altro che privo di raffinatezze nel confondere rock, classica e jazz. Bastano i primi due dischi, l'omonimo e "Tarkus" (1970 e 1971) - che contengono musica in quantità tale da riempire l'intera carriera di molti gruppi contemporanei - per fare entrare il gruppo nelle massime espressioni dell'epoca. Segue poi un discutibile, quello sì, pastiche sui "quadri di un'esposizione" di Mussorsky, un disco interlocutorio ("Trilogy") e un canto del cigno con ridondante ma bellissimo "Brain Salad Surgery" (1973), ultimo grande disco della band.
L'età dell'oro (1969-1976)
Altro "totem" del progressive, nonché gruppo retrospettivamente più dilaniato dalla critica, gli Emerson Lake And Palmer nascono dalle ceneri dei Nice e hanno come figura cardine il tastierista Keith Emerson. Il gruppo propone un progressive incentrato sulle tastiere del leader, funambolico, narcistista fino al paradosso, tronfio e trionfalista, paradigmaticamente kitsch nell'ostentato riferirsi a modelli classici. La critica avrà buon gioco nell'identificare il gruppo come massima espressione degli aspetti ritenuti degenerativi del progressive stesso.
In realtà, gli Elp sono ottimi musicisti, e in particolare Emerson è autore tutt'altro che privo di raffinatezze nel confondere rock, classica e jazz. Bastano i primi due dischi, l'omonimo e "Tarkus" (1970 e 1971) - che contengono musica in quantità tale da riempire l'intera carriera di molti gruppi contemporanei - per fare entrare il gruppo nelle massime espressioni dell'epoca. Segue poi un discutibile, quello sì, pastiche sui "quadri di un'esposizione" di Mussorsky, un disco interlocutorio ("Trilogy") e un canto del cigno con ridondante ma bellissimo "Brain Salad Surgery" (1973), ultimo grande disco della band.
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STORIA DEL ROCK-PROGRESSIVO
PARTE 4
L'età dell'oro (1969-1976)
Destino critico analogo avranno gli Yes, che arrivano un po' tardivamente al progressive, dopo due dischi di pop paraprogressive (l'omonimo e "Time And A Word" ), con "Yes Album", per poi proseguire con due classici del genere come "Fragile" (1971) e "Close To The Edge" (1972). Se i Genesis sono l'anima immaginifica del progressive e i King Crimson l'anima culturale e sperimentale, fatta salva la rozzezza delle semplificazioni, gli Yes, ancora più degli Elp e dei Gentle Giant, di cui parleremo, ne sono l'anima tecnica: la loro musica è, nei momenti migliori, un'affabulazione strumentale, una dialettica tra solisti eroicamente legati ai loro strumenti, un vortice di voci diverse. Tornando all'inizio della monografia, se quello dei Genesis è rock romantico e quello dei King Crimson è art rock, quello degli Yes è rock barocco. Gruppo forse un po' freddo, è vero, ma difficile non rimanere affascinati dal lavorio incessante della chitarra di Steve Howe, dalla ritmica creativa di Chris Squire al basso e di Bill Bruford (poi, come sappiamo, nei Crimson) alla batteria, dalla retorica tastieristica di Rick Wakeman (unico rivale accreditato di Emerson) e dalla voce in falsetto di Jon Anderson.
Nel 1973, via Bruford e dentro Alan White, esce l'ambizioso doppio (quattro brani, uno per facciata) "Tales From Topographic Oceans" (recentemente indicato da una rivista italiana come uno dei 100 dischi rock da evitare), album discusso anche all'epoca, ma che per almeno tre facciate su quattro contiene musica tra la migliore mai composta dal gruppo. Poi, nel 1974, via anche Wakeman (rientrerà successivamente, per poi riandarsene, per poi rientrare e così via) per lo svizzero Patrick Moraz (il disco è "Relayer"), poi nel 1976 l'ultimo grande disco degli Yes ("Going For The One"). In seguito, cambi continui di formazione, dischi modesti, alcuni discreti, altri sconcertanti, un fugace successo (ricordate "Owner Of A Lonely Heart"?) fino ai giorni nostri.
L'età dell'oro (1969-1976)
Destino critico analogo avranno gli Yes, che arrivano un po' tardivamente al progressive, dopo due dischi di pop paraprogressive (l'omonimo e "Time And A Word" ), con "Yes Album", per poi proseguire con due classici del genere come "Fragile" (1971) e "Close To The Edge" (1972). Se i Genesis sono l'anima immaginifica del progressive e i King Crimson l'anima culturale e sperimentale, fatta salva la rozzezza delle semplificazioni, gli Yes, ancora più degli Elp e dei Gentle Giant, di cui parleremo, ne sono l'anima tecnica: la loro musica è, nei momenti migliori, un'affabulazione strumentale, una dialettica tra solisti eroicamente legati ai loro strumenti, un vortice di voci diverse. Tornando all'inizio della monografia, se quello dei Genesis è rock romantico e quello dei King Crimson è art rock, quello degli Yes è rock barocco. Gruppo forse un po' freddo, è vero, ma difficile non rimanere affascinati dal lavorio incessante della chitarra di Steve Howe, dalla ritmica creativa di Chris Squire al basso e di Bill Bruford (poi, come sappiamo, nei Crimson) alla batteria, dalla retorica tastieristica di Rick Wakeman (unico rivale accreditato di Emerson) e dalla voce in falsetto di Jon Anderson.
Nel 1973, via Bruford e dentro Alan White, esce l'ambizioso doppio (quattro brani, uno per facciata) "Tales From Topographic Oceans" (recentemente indicato da una rivista italiana come uno dei 100 dischi rock da evitare), album discusso anche all'epoca, ma che per almeno tre facciate su quattro contiene musica tra la migliore mai composta dal gruppo. Poi, nel 1974, via anche Wakeman (rientrerà successivamente, per poi riandarsene, per poi rientrare e così via) per lo svizzero Patrick Moraz (il disco è "Relayer"), poi nel 1976 l'ultimo grande disco degli Yes ("Going For The One"). In seguito, cambi continui di formazione, dischi modesti, alcuni discreti, altri sconcertanti, un fugace successo (ricordate "Owner Of A Lonely Heart"?) fino ai giorni nostri.
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STORIA DEL ROCK-PROGRESSIVO
parte 5
L'età dell'oro (1969-1976)
Tra i grandi del progressive vengono annoverati due gruppi, diversissimi ma celeberrimi entrambi, che sono progressive, o meglio lo sono diventati, forse più per empatia culturale che per vera convinzione, forse più per concordanza di evoluzione che per scelta consapevole: i Jethro Tull e i Pink Floyd.
I Jethro Tull nascono come gruppo di eclettico folk-blues-rock (da ricordare "Stand Up" del 1969), con "Aqualung" del 1971 si accentuano i caratteri progressivi, ma è solo con i due dischi successivi ("Thick As A Brick" del 1972 e "A Passion Play dell'anno dopo) che i Jethro Tull entrano in maniera inequivocabile nel calderone del progressive, nel periodo del suo massimo splendore. E lo fanno nel migliore dei modi: "Thick As A Brick" è un classico senza tempo, unico brano su due facciate con tastiere mai così in primo piano, riff ed eclettismo melodico a ruota libera, certi eccessi tenuti a debita distanza. Ancor meglio "A Passion Play", per chi scrive (ma non solo) un capolavoro, molto più cupo, serioso e articolato del predecessore, è da molti ritenuto il miglior disco dei Jethro Tull (anch' esso comunque fa parte della lista dei 100 dischi da evitare di cui sopra). Dopo il 1973, il gruppo esce parzialmente dal progressive, per lo meno nella notazione più ortodossa, produce ancora qualche album notevole (su tutti "Minstrel In The Gallery" del 1975) e molti discreti fino ai giorni nostri, producendo un corpus musicale che complessivamente ha pochi eguali nella musica rock, sia come qualità che come quantità. Tra l'altro, i Jethro Tull sono, tra i vecchi "dinosauri" del progressive, il gruppo che senza dubbio è invecchiato meglio, con più coerenza e dignità. Titolo che spetterebbe in realtà ai King Crimson, se solo i King Crimson fossero invecchiati...
Altro iter curioso è quello dei Pink Floyd, fautori agli esordi, sia nella fase barrettiana che successiva, di una psichedelia stralunata ma molto consapevole e razionale, lontanissima dalla viscerale psichedelia californiana, ancora legata al blues e al folk, piena anche di riferimenti colti, spiazzante e sghemba, lisergica ma lucida e intellettuale. La fase psichedelica dei Pink Floyd si chiude con due capolavori, il doppio "Ummagumma" e la sottovalutata colonna sonora del film "More". Poi, con la magniloquente suite di "Atom Hearth Mother", il gruppo si inserisce a piano titolo nel filone del progressive; da lì "Meddle" e i successi planetari di "The Dark Side Of The Moon" (1973), "Wish You Were Here" (1975), "Animals" (1977 ) e "The Wall" (1979). Gruppo di grandissima personalità e fascino, esente da narcisismi e virtuosismi, interpreta il progressive in maniera, a ben vedere, molto più semplice di altri gruppi citati, ma associandolo a un'enorme forza evocativa, ponendosi come paradigma del progressive come musica di avanguardia e cultura popolare, come sublimazione dell'arte nella musica di consumo. Quasi tutta la musica dei Pink Floyd è pervasa, citando una frase di un loro testo, da "una quieta disperazione", da un pessimismo cosmico ma silente e alla fine catartico nella sua sublime assenza di rabbia e tensione.
Questi i gruppi più noti e di maggior successo commerciale, ma la grandezza del progressive si misura anche e soprattutto dall'opera di gruppi di minor visibilità e immediatezza.
L'età dell'oro (1969-1976)
Tra i grandi del progressive vengono annoverati due gruppi, diversissimi ma celeberrimi entrambi, che sono progressive, o meglio lo sono diventati, forse più per empatia culturale che per vera convinzione, forse più per concordanza di evoluzione che per scelta consapevole: i Jethro Tull e i Pink Floyd.
I Jethro Tull nascono come gruppo di eclettico folk-blues-rock (da ricordare "Stand Up" del 1969), con "Aqualung" del 1971 si accentuano i caratteri progressivi, ma è solo con i due dischi successivi ("Thick As A Brick" del 1972 e "A Passion Play dell'anno dopo) che i Jethro Tull entrano in maniera inequivocabile nel calderone del progressive, nel periodo del suo massimo splendore. E lo fanno nel migliore dei modi: "Thick As A Brick" è un classico senza tempo, unico brano su due facciate con tastiere mai così in primo piano, riff ed eclettismo melodico a ruota libera, certi eccessi tenuti a debita distanza. Ancor meglio "A Passion Play", per chi scrive (ma non solo) un capolavoro, molto più cupo, serioso e articolato del predecessore, è da molti ritenuto il miglior disco dei Jethro Tull (anch' esso comunque fa parte della lista dei 100 dischi da evitare di cui sopra). Dopo il 1973, il gruppo esce parzialmente dal progressive, per lo meno nella notazione più ortodossa, produce ancora qualche album notevole (su tutti "Minstrel In The Gallery" del 1975) e molti discreti fino ai giorni nostri, producendo un corpus musicale che complessivamente ha pochi eguali nella musica rock, sia come qualità che come quantità. Tra l'altro, i Jethro Tull sono, tra i vecchi "dinosauri" del progressive, il gruppo che senza dubbio è invecchiato meglio, con più coerenza e dignità. Titolo che spetterebbe in realtà ai King Crimson, se solo i King Crimson fossero invecchiati...
Altro iter curioso è quello dei Pink Floyd, fautori agli esordi, sia nella fase barrettiana che successiva, di una psichedelia stralunata ma molto consapevole e razionale, lontanissima dalla viscerale psichedelia californiana, ancora legata al blues e al folk, piena anche di riferimenti colti, spiazzante e sghemba, lisergica ma lucida e intellettuale. La fase psichedelica dei Pink Floyd si chiude con due capolavori, il doppio "Ummagumma" e la sottovalutata colonna sonora del film "More". Poi, con la magniloquente suite di "Atom Hearth Mother", il gruppo si inserisce a piano titolo nel filone del progressive; da lì "Meddle" e i successi planetari di "The Dark Side Of The Moon" (1973), "Wish You Were Here" (1975), "Animals" (1977 ) e "The Wall" (1979). Gruppo di grandissima personalità e fascino, esente da narcisismi e virtuosismi, interpreta il progressive in maniera, a ben vedere, molto più semplice di altri gruppi citati, ma associandolo a un'enorme forza evocativa, ponendosi come paradigma del progressive come musica di avanguardia e cultura popolare, come sublimazione dell'arte nella musica di consumo. Quasi tutta la musica dei Pink Floyd è pervasa, citando una frase di un loro testo, da "una quieta disperazione", da un pessimismo cosmico ma silente e alla fine catartico nella sua sublime assenza di rabbia e tensione.
Questi i gruppi più noti e di maggior successo commerciale, ma la grandezza del progressive si misura anche e soprattutto dall'opera di gruppi di minor visibilità e immediatezza.
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STORIA DEL ROCK-PROGRESSIVO
parte 6
L'età dell'oro (1969-1976)
Tra tutti, per importanza, spiccano i Van Der Graaf Generator di Peter Hammill, gruppo rispettatissimo dalla critica anche dopo il ciclone punk e la new wave, che nell'age d'or del progressive produce alcune gemme di esistenzialismo musicale, teso e vibrante, tra cui spiccano "H To He, Who Am The Only One" (1971), "Pawn Hearts" (1972), per poi rigenerarsi nella seconda metà dei 70 seguendo le piste che dal progressive porteranno alla new wave, nell'ambito della quale alcuni gruppi, basti pensare ai Bauhaus, devono molto ai Van Der Graaf Generator del periodo. Il progressive di Hammill e compagni, infatti, è tra i più drammatici e intensi del periodo, lontano da ridondanze e autocompiacimenti che tanto verranno contestati successivamente al genere, lirico e profondo, risulta retrospettivamente una delle espressioni più moderne del movimento.
Altra formazione di estremo interesse è quella dei Gentle Giant, gruppo molto tecnico composto da grandi musicisti ma soprattutto da straordinari arrangiatori, fautori di un progressive a volte miscelato al folk, di gelida freddezza e precisione algebrica nei tipici e involuti incastri strumentali e vocali. Un gioco di scatole cinesi di enorme fascino e intelligenza. Tra tutti i dischi dei Gentle Giant, consigliabili a scatola chiusa tutti i primi lavori, con particolare riferimento al secondo ("Acquaring The Taste", 1971) e il quarto ("Octopus", 1973 ).
L'età dell'oro (1969-1976)
Tra tutti, per importanza, spiccano i Van Der Graaf Generator di Peter Hammill, gruppo rispettatissimo dalla critica anche dopo il ciclone punk e la new wave, che nell'age d'or del progressive produce alcune gemme di esistenzialismo musicale, teso e vibrante, tra cui spiccano "H To He, Who Am The Only One" (1971), "Pawn Hearts" (1972), per poi rigenerarsi nella seconda metà dei 70 seguendo le piste che dal progressive porteranno alla new wave, nell'ambito della quale alcuni gruppi, basti pensare ai Bauhaus, devono molto ai Van Der Graaf Generator del periodo. Il progressive di Hammill e compagni, infatti, è tra i più drammatici e intensi del periodo, lontano da ridondanze e autocompiacimenti che tanto verranno contestati successivamente al genere, lirico e profondo, risulta retrospettivamente una delle espressioni più moderne del movimento.
Altra formazione di estremo interesse è quella dei Gentle Giant, gruppo molto tecnico composto da grandi musicisti ma soprattutto da straordinari arrangiatori, fautori di un progressive a volte miscelato al folk, di gelida freddezza e precisione algebrica nei tipici e involuti incastri strumentali e vocali. Un gioco di scatole cinesi di enorme fascino e intelligenza. Tra tutti i dischi dei Gentle Giant, consigliabili a scatola chiusa tutti i primi lavori, con particolare riferimento al secondo ("Acquaring The Taste", 1971) e il quarto ("Octopus", 1973 ).
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STORIA DEL ROCK-PROGRESSIVO
parte 7
L'età dell'oro (1969-1976)
Gruppo certo non di successo travolgente ma comunque con un seguito consolidato, i Camel di Andrew Latimer e Peter Bardens entrano relativamente tardi nel progressive (l'esordio omonimo è del 1972, poi i notevoli "Mirage", "The Snow Goose" e "Moonmadness") e lo interpretano in maniera semplice e relativamente lineare, basando il sound sul dialogo della chitarra di Latimer con l'hammond di Bardens, producendo una musica spesso rilassata, delicata, floreale, sovrastrutturata ma senza retorica né celebrazioni, tanto che molti critici hanno avvicinato la musica del gruppo, con molte ragioni, alla cosiddetta "Scuola di Canterbury", di cui parleremo. I Camel, tra l'altro, dopo alcuni dischi non all'altezza negli 80, negli ultimi dieci anni hanno prodotto alcuni dischi tra i migliori della loro carriera, tra tutti "Dust And Dream" del 1991
Ma nel progressive sono tutti uomini? Quasi, però forse la miglior voce di tutto il progressive è quella di Annie Haslam, cantante dei Renaissance, decisamente il gruppo più sinfonico di tutto il prog, in senso letterale poiché spesso si fa accompagnare nei suoi brani da un'intera orchestra sinfonica, come nel suo migliore lavoro, "Sheherazade And Other Stories" (1975).
Gruppo però tutt'altro che kitsch, come si potrebbe pensare, i Renaissance godono, nei momenti migliori, di un delizioso songwriting, molto melodico e romantico, con un uso tutto sommato calibrato dell'orchestra nell'enfatizzare le linee armoniche.
I Renaissance, pur essendo un gruppo non certo privo di raffinatezze, rappresentano l'anima più popolarmente e direttamente romantica del progressive, l'anima più esplicita ed estroversa, rock sinfonico nel senso più letterale.
Vorrei continuare l'excursus sui principali gruppi del progressive con un gruppo che solitamente non viene considerato, neanche dagli appassionati, come appartenente al genere e che rischia di essere ingiustamente dimenticato (e spesso lo è): i Traffic.
Certo, con loro si parla di psichedelia, di rock, di folk, però non si commette un'eresia indicando "John Barleycorn Must Die" come un grande esempio di folk-prog, e anche nei dischi successivi (da segnalare "The Low Sparks Of High Heeled Boys" e lo splendido live "On The Road") la calda voce e l'hammond di Steve Windwood agiscono in territori che proprio lontani dal progressive non sono.
Ovviamente è impossibile parlare di progressive senza citare un inossidabile mito della critica, un coacervo di gruppi, costituiti da un piccolo gruppo di musicisti che si sono variamente incrociati, nati nell'area di Canterbury: la "Scuola di Canterbury", appunto.
Prima di tutto, esiste qualcosa, oltre all'origine geografica, che accomuna tutti questi gruppi, alcuni in effetti molto importanti, che apparentemente hanno approcci anche molto diversi al progressive e alla musica? Più di vent'anni fa sulle colonne di Rockstar il critico Giampiero Vigorito, recensendo un disco dei Caravan (per la cronaca "Back To Front"), paragonava la musica del gruppo al profumo delle camelie. Ecco una finezza e leggerezza strutturale, un vago retrogusto di cannabis molto più che lisergico, un tenersi lontano da ogni pacchianeria, pesantezza e volgarità, un humus antiretorico e antieroico, femminile, floreale, impegnato ma anche rilassato e un po' sopra le righe: questo potrebbe essere un minimo comune denominatore di una scena che contempla gruppi molto diversi, dal rock progressivo elegante e leggiadro dei Caravan al jazz-rock dei Soft Machine.
I Caravan sono l'anima più intelligibile e pop della scena di Canterbury e sostanzialmente il gruppo più legato al progressive nella sua accezione più comune. Esordiscono con il disco omonimo nel 1968 e forse non è capolavoro ma poco ci manca, con pezzi dominati dal volteggiante hammond di David Sinclair, il gruppo ondeggia tra romanticismo e underground, con brani melodicamente solidi e passaggi di grande respiro. Ancora meglio faranno nel 1970 con "If I Could Do It All Over Again, I'd Do All Over You" e l'anno successivo con "In The Land Of Grey And Pink", due dischi già maturi, di stile e personalità definiti, con suite ("For Richard", "Nine Feet Underground") screziate da un'elegia e una liricità obliqua, complici anche il flauto di Jimmy Hastings, fratello del chitarrista Pye, e la voce di Richard Sinclair, già allora una delle più belle della scena. Poi, vari cambi di formazione, alcuni dischi ancora molto buoni ("Waterloo Lily" e "For Girls Who Grow Plomp In The Night"), quindi una lenta, seppur dignitosa, deriva verso un pop sovrastrutturato, con qualche acuto inaspettato ("Back To Front" del 1982 ).
L'altro gruppo cardine sono i Soft Machine i cui primi due dischi ("Vol 1 e 2" del 1968 e 1969) fanno parte del progressive più per assonanza temporale e creativa che per reale intendimento, essendo due piccoli e originalissimi gioielli di psichedelia deformata, lievemente acida ma anche fredda e intellettualizzata, mitteleuropea, svagata e futurista. Con il successivo, terzo volume, doppio con un brano per facciata, si sintetizza il passato con la celeberrima "Moon In June" di Robert Wyatt con il futuro di una decisissima sterzata verzo un eccellente jazz-rock di derivazione davisiana (Miles Davis aveva appena iniziato il suo periodo elettrico con "Bitches Brew" e non stupisce affatto che tale sconvolgimento abbia trovato subito epigoni in Europa piuttosto che negli States). Tale trend dei Soft si stabilizzerà nei dischi successivi, molti dei quali di ottimo livello, in cui il jazz-rock si esprimerà mirabilmente come tensione irrisolta tra ordine e caos, tra struttura e improvvisazione. Tale virata però non convince Robert Wyatt che se ne va a formare i Matching Mole (due dischi all'attivo, entrambi del 1972, l'omonimo e migliore, e "Little Red Record"), ottimo gruppo dove però il jazz che il compositore voleva fare uscire dalla porta rientra alla fine dalla finestra, alternato a pezzi dominati dalla vocalità aliena del leader e batterista. Poi, per lui un incidente, la sedia a rotelle e un capolavoro come "Rock Bottom".
Legati ai Caravan e in parte derivati da essi sono gli Hatfield And The North, autori sostanzialmente di due dischi ("Hatfield And The North" del 1973 e "Rotter's Club" del 1975), a parere di chi scrive due capolavori del Canterbury-sound e del rock tout court. Gli Hatfield sono una perfetta sintesi tra le due anime del Canterbury, quella melodica, lirica e un po' scanzonata dei Caravan e quella più impregnata di esistenzialismo non drammatico e fortemente legata al jazz dei Soft Machine e Matching Mole. La loro musica è un mirabolante esempio di creatività ed equilibrio, complessa ed emotiva, di un eleganza irreale.
Dalle ceneri degli Hatfiel nasceranno i National Health (da segnalare l'omonimo del 1978), decisamente orientati verso climi più jazzati.
Del Canterbury da segnalare altri gruppi minori ma latori di musica a volte eccellente. Come non citare gli Egg, oscillanti tra classicismo e sperimentalismo, i Gilgamesch, i Soft Heap (poi Soft Head, se il nome vi ricorda qualcosa siete sulla strada giusta), i Khan.
Da ultimo alcuni gruppi che si potrebbero definire para-canterburiani, cioè legati musicalmente in qualche modo alla scena ma geograficamnete estranei ad essa: Camel, Gong, Henry Cow. Dei primi, vicini in qualche modo ai Caravan e unici veramente progressive, abbiamo già detto. I Gong, a mio parere noti molto al di là degli effettivi meriti, nascono attorno alla figura hippie di Daevid Allen e propongono una psichedelia a volte ipnotica, spesso infantile dove al di là dell'eccentricità di facciata e di un tono un po' sopra le righe, da sballo adolescenziale, si colgono lacune creative colmate con furbizia. Da segnalare per dovere la famosa trilogia ("Fliyng Teapot", "Angels Egg" e "You", quest'ultimo decisamente il migliore). Anche per i Gong, come per i Soft Machine, un prosieguo di carriera con un jazz-rock discreto dopo la salutare uscita di Allen.
Altro discorso per gli Henry Cow, gruppo decisamente avanguardistico e a tratti ostico, nonché seminale, nello sperimentare ardite strutture di avant-jazz. Ma qui siamo veramente ai confini, e direi oltre, del progressive.
Questi gli attori principali, i più noti e quelli a cui è legato il successo e la matrice del termine progressive. Dietro di questi pochi grandi nomi una miriade di gruppi, una parte dei quali, diciamolo, dimenticabili e a volte imitatori di imitatori, quasi sempre di chiaro insuccesso commerciale, quasi sempre autori di uno o pochi dischi. Però ci sono anche gemme nascoste. Diciamolo però fin da subito, nella vasta opera di scandaglio che specie negli ultimi anni è stata fatta di questo sottobosco, sono emerse opere anche meritevoli di miglior sorte ma nessun vero capolavoro. Insomma un "In The Court Of The Crimson King" o un "The Lamb Lies Down On Broadway " nascosti non ci sono.
Meritevoli di una citazione però alcuni gruppi lo sono davvero: rimanendo in Inghilterra, segnaliamo i Gracious, i Cressida, i Web, i Catapilla, i Cirkus, i Fruup, i Samurai, i Greenslade, gli Spring, i Quatermass, i Ton Ton Macoute, gli Gnidrolog, i Druid.
All'interno del prog cosidetto minore sono poi identificabili delle sottocorrenti, come il folk-prog dei Trees, Spyro Gyra, Comus e Tudor Lodge, l'hard-prog (organo, brani complessi e chitarre tendenti all'hard) degli Steel Mill, dei T2, dei Clear Blue Sky, il prog con venature dark di Dr Z e Still Live, il jazz-rock non solo di matrice canterburyana dei Ben, dei Nucleus e di altri gruppi continentali come i francesi Zao e gli italiani Perigeo. Insomma centinaia di gruppi, di correnti, sottocorrenti e rivoli che costituiscono la nebulosa del progressive nella prima metà degli anni 70, una massa smisurata dai contorni fin troppo poco chiari se nel calderone del progressive finiscono i Renaissance assieme ad opere di franca avant-garde jazz come Septober Energy dei Centipede di Keith Tippett, oltre ai già citati Henry Cow.
L'età dell'oro (1969-1976)
Gruppo certo non di successo travolgente ma comunque con un seguito consolidato, i Camel di Andrew Latimer e Peter Bardens entrano relativamente tardi nel progressive (l'esordio omonimo è del 1972, poi i notevoli "Mirage", "The Snow Goose" e "Moonmadness") e lo interpretano in maniera semplice e relativamente lineare, basando il sound sul dialogo della chitarra di Latimer con l'hammond di Bardens, producendo una musica spesso rilassata, delicata, floreale, sovrastrutturata ma senza retorica né celebrazioni, tanto che molti critici hanno avvicinato la musica del gruppo, con molte ragioni, alla cosiddetta "Scuola di Canterbury", di cui parleremo. I Camel, tra l'altro, dopo alcuni dischi non all'altezza negli 80, negli ultimi dieci anni hanno prodotto alcuni dischi tra i migliori della loro carriera, tra tutti "Dust And Dream" del 1991
Ma nel progressive sono tutti uomini? Quasi, però forse la miglior voce di tutto il progressive è quella di Annie Haslam, cantante dei Renaissance, decisamente il gruppo più sinfonico di tutto il prog, in senso letterale poiché spesso si fa accompagnare nei suoi brani da un'intera orchestra sinfonica, come nel suo migliore lavoro, "Sheherazade And Other Stories" (1975).
Gruppo però tutt'altro che kitsch, come si potrebbe pensare, i Renaissance godono, nei momenti migliori, di un delizioso songwriting, molto melodico e romantico, con un uso tutto sommato calibrato dell'orchestra nell'enfatizzare le linee armoniche.
I Renaissance, pur essendo un gruppo non certo privo di raffinatezze, rappresentano l'anima più popolarmente e direttamente romantica del progressive, l'anima più esplicita ed estroversa, rock sinfonico nel senso più letterale.
Vorrei continuare l'excursus sui principali gruppi del progressive con un gruppo che solitamente non viene considerato, neanche dagli appassionati, come appartenente al genere e che rischia di essere ingiustamente dimenticato (e spesso lo è): i Traffic.
Certo, con loro si parla di psichedelia, di rock, di folk, però non si commette un'eresia indicando "John Barleycorn Must Die" come un grande esempio di folk-prog, e anche nei dischi successivi (da segnalare "The Low Sparks Of High Heeled Boys" e lo splendido live "On The Road") la calda voce e l'hammond di Steve Windwood agiscono in territori che proprio lontani dal progressive non sono.
Ovviamente è impossibile parlare di progressive senza citare un inossidabile mito della critica, un coacervo di gruppi, costituiti da un piccolo gruppo di musicisti che si sono variamente incrociati, nati nell'area di Canterbury: la "Scuola di Canterbury", appunto.
Prima di tutto, esiste qualcosa, oltre all'origine geografica, che accomuna tutti questi gruppi, alcuni in effetti molto importanti, che apparentemente hanno approcci anche molto diversi al progressive e alla musica? Più di vent'anni fa sulle colonne di Rockstar il critico Giampiero Vigorito, recensendo un disco dei Caravan (per la cronaca "Back To Front"), paragonava la musica del gruppo al profumo delle camelie. Ecco una finezza e leggerezza strutturale, un vago retrogusto di cannabis molto più che lisergico, un tenersi lontano da ogni pacchianeria, pesantezza e volgarità, un humus antiretorico e antieroico, femminile, floreale, impegnato ma anche rilassato e un po' sopra le righe: questo potrebbe essere un minimo comune denominatore di una scena che contempla gruppi molto diversi, dal rock progressivo elegante e leggiadro dei Caravan al jazz-rock dei Soft Machine.
I Caravan sono l'anima più intelligibile e pop della scena di Canterbury e sostanzialmente il gruppo più legato al progressive nella sua accezione più comune. Esordiscono con il disco omonimo nel 1968 e forse non è capolavoro ma poco ci manca, con pezzi dominati dal volteggiante hammond di David Sinclair, il gruppo ondeggia tra romanticismo e underground, con brani melodicamente solidi e passaggi di grande respiro. Ancora meglio faranno nel 1970 con "If I Could Do It All Over Again, I'd Do All Over You" e l'anno successivo con "In The Land Of Grey And Pink", due dischi già maturi, di stile e personalità definiti, con suite ("For Richard", "Nine Feet Underground") screziate da un'elegia e una liricità obliqua, complici anche il flauto di Jimmy Hastings, fratello del chitarrista Pye, e la voce di Richard Sinclair, già allora una delle più belle della scena. Poi, vari cambi di formazione, alcuni dischi ancora molto buoni ("Waterloo Lily" e "For Girls Who Grow Plomp In The Night"), quindi una lenta, seppur dignitosa, deriva verso un pop sovrastrutturato, con qualche acuto inaspettato ("Back To Front" del 1982 ).
L'altro gruppo cardine sono i Soft Machine i cui primi due dischi ("Vol 1 e 2" del 1968 e 1969) fanno parte del progressive più per assonanza temporale e creativa che per reale intendimento, essendo due piccoli e originalissimi gioielli di psichedelia deformata, lievemente acida ma anche fredda e intellettualizzata, mitteleuropea, svagata e futurista. Con il successivo, terzo volume, doppio con un brano per facciata, si sintetizza il passato con la celeberrima "Moon In June" di Robert Wyatt con il futuro di una decisissima sterzata verzo un eccellente jazz-rock di derivazione davisiana (Miles Davis aveva appena iniziato il suo periodo elettrico con "Bitches Brew" e non stupisce affatto che tale sconvolgimento abbia trovato subito epigoni in Europa piuttosto che negli States). Tale trend dei Soft si stabilizzerà nei dischi successivi, molti dei quali di ottimo livello, in cui il jazz-rock si esprimerà mirabilmente come tensione irrisolta tra ordine e caos, tra struttura e improvvisazione. Tale virata però non convince Robert Wyatt che se ne va a formare i Matching Mole (due dischi all'attivo, entrambi del 1972, l'omonimo e migliore, e "Little Red Record"), ottimo gruppo dove però il jazz che il compositore voleva fare uscire dalla porta rientra alla fine dalla finestra, alternato a pezzi dominati dalla vocalità aliena del leader e batterista. Poi, per lui un incidente, la sedia a rotelle e un capolavoro come "Rock Bottom".
Legati ai Caravan e in parte derivati da essi sono gli Hatfield And The North, autori sostanzialmente di due dischi ("Hatfield And The North" del 1973 e "Rotter's Club" del 1975), a parere di chi scrive due capolavori del Canterbury-sound e del rock tout court. Gli Hatfield sono una perfetta sintesi tra le due anime del Canterbury, quella melodica, lirica e un po' scanzonata dei Caravan e quella più impregnata di esistenzialismo non drammatico e fortemente legata al jazz dei Soft Machine e Matching Mole. La loro musica è un mirabolante esempio di creatività ed equilibrio, complessa ed emotiva, di un eleganza irreale.
Dalle ceneri degli Hatfiel nasceranno i National Health (da segnalare l'omonimo del 1978), decisamente orientati verso climi più jazzati.
Del Canterbury da segnalare altri gruppi minori ma latori di musica a volte eccellente. Come non citare gli Egg, oscillanti tra classicismo e sperimentalismo, i Gilgamesch, i Soft Heap (poi Soft Head, se il nome vi ricorda qualcosa siete sulla strada giusta), i Khan.
Da ultimo alcuni gruppi che si potrebbero definire para-canterburiani, cioè legati musicalmente in qualche modo alla scena ma geograficamnete estranei ad essa: Camel, Gong, Henry Cow. Dei primi, vicini in qualche modo ai Caravan e unici veramente progressive, abbiamo già detto. I Gong, a mio parere noti molto al di là degli effettivi meriti, nascono attorno alla figura hippie di Daevid Allen e propongono una psichedelia a volte ipnotica, spesso infantile dove al di là dell'eccentricità di facciata e di un tono un po' sopra le righe, da sballo adolescenziale, si colgono lacune creative colmate con furbizia. Da segnalare per dovere la famosa trilogia ("Fliyng Teapot", "Angels Egg" e "You", quest'ultimo decisamente il migliore). Anche per i Gong, come per i Soft Machine, un prosieguo di carriera con un jazz-rock discreto dopo la salutare uscita di Allen.
Altro discorso per gli Henry Cow, gruppo decisamente avanguardistico e a tratti ostico, nonché seminale, nello sperimentare ardite strutture di avant-jazz. Ma qui siamo veramente ai confini, e direi oltre, del progressive.
Questi gli attori principali, i più noti e quelli a cui è legato il successo e la matrice del termine progressive. Dietro di questi pochi grandi nomi una miriade di gruppi, una parte dei quali, diciamolo, dimenticabili e a volte imitatori di imitatori, quasi sempre di chiaro insuccesso commerciale, quasi sempre autori di uno o pochi dischi. Però ci sono anche gemme nascoste. Diciamolo però fin da subito, nella vasta opera di scandaglio che specie negli ultimi anni è stata fatta di questo sottobosco, sono emerse opere anche meritevoli di miglior sorte ma nessun vero capolavoro. Insomma un "In The Court Of The Crimson King" o un "The Lamb Lies Down On Broadway " nascosti non ci sono.
Meritevoli di una citazione però alcuni gruppi lo sono davvero: rimanendo in Inghilterra, segnaliamo i Gracious, i Cressida, i Web, i Catapilla, i Cirkus, i Fruup, i Samurai, i Greenslade, gli Spring, i Quatermass, i Ton Ton Macoute, gli Gnidrolog, i Druid.
All'interno del prog cosidetto minore sono poi identificabili delle sottocorrenti, come il folk-prog dei Trees, Spyro Gyra, Comus e Tudor Lodge, l'hard-prog (organo, brani complessi e chitarre tendenti all'hard) degli Steel Mill, dei T2, dei Clear Blue Sky, il prog con venature dark di Dr Z e Still Live, il jazz-rock non solo di matrice canterburyana dei Ben, dei Nucleus e di altri gruppi continentali come i francesi Zao e gli italiani Perigeo. Insomma centinaia di gruppi, di correnti, sottocorrenti e rivoli che costituiscono la nebulosa del progressive nella prima metà degli anni 70, una massa smisurata dai contorni fin troppo poco chiari se nel calderone del progressive finiscono i Renaissance assieme ad opere di franca avant-garde jazz come Septober Energy dei Centipede di Keith Tippett, oltre ai già citati Henry Cow.
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STORIA DEL ROCK PROGRESSIVO
parte 8
Il progressivo in Europa e in Italia
Fin qui ci siamo limitati alla scena inglese, ma il progressive ha prodotto una quantità enorme di dischi ai quattro angoli del globo, spesso con pedisseque imitazioni e clamorose ingenuità, anche con opere notevoli, di grande spessore e originalità.
Limiteremo una breve descrizione a tre nazioni dove la produzione almeno qualitativamente è stata, a mio parere, migliore e più significativa: la Germania, la Francia e, perché no, l'Italia.
In Germania la scena musicale nel periodo è eccezionalmente fertile, ma non per merito di un'ondata progressive. In quel periodo, infatti, si sviluppano due correnti di grande impatto e originalità, quella particolare forma di psichedelia tagliente e disillusa chiamata kraut-rock (Can, Amon Duul, Faust, Neu!) e la musica cosmica ed elettronica seminale dei Tangerine Dream e di Klaus Schulze. Sono due momenti molto importanti, vere proprie pietre angolari, basti pensare a quanto gruppi come i Sonic Youth e certo rumorismo debbano al kraut-rock e l'influenza dei Tangerine Dream e di Schulze sulla new age, sull'ambient e su tutta l'elettronica successiva, dal chill-out all'avanguardia più radicale.
Ma accanto a queste tendenze si sviluppa anche un prog di un certo spessore, che ha esattamente le caratteristiche che ci si aspetta da gruppi tedeschi: una certa seriosità di fondo, un clima a volte lievemente decadente e letterario, un'emotività trattenuta e compressa.
Tra i tanti esempi meritano certamente di essere citati gli Eloy, molto pinkfloydiani, i Wallenstein, i Novalis, gli Anyone Daugther e i più sperimentali Agitation Free.
Più originale la scena francese, che ruota attorno a due grandi nomi: gli Ange e i Magma. I primi, forse un po' sopravvalutati dalla critica di settore, sono una specie di Pfm d'oltralpe, con un po' di tecnica in meno e molta teatralità, tipicamente francese, in più. Molti gli epigoni degli Ange (Analyse Grande Espoir ), spesso migliori dell'originale, come gli Atoll, i Pentacle, i Carpe Diem, gli Aracniod...
Di gran lunga più importanti, direi forse uno dei gruppi più importanti del prog, sono invece i Magma, routanti attorno alla figura di Cristian Vander e fautori di una musica unica e originalissima, basata su cellule ritmiche e melodiche che a volte reiterano ossessive, con improvvise aperture epiche e corali e passaggi di raffinatissima psichedelia colta. Gruppo che unisce i Carmina Burana al jazz e alla classica, miscelando il tutto a un rock di una potenza esplosiva, i Magma rimangono uno dei fenomeni più significativi del periodo, tanto da aver creato un genere: lo zeulh, e meriterebbero una trattazione più estesa. in tale sede basti citare tra gli imprescindibili "Kontharkosz" del 1974, "Mekanik Destruktiv Kommando" dell'anno prima e "Magma Live" del 1975.
Last but not least, la scena italiana, che si basa su tre gruppi principali e famosissimi in patria: la Pfm, il Banco e le Orme. La Pfm è decisamente il gruppo più legato al prog anglosassone (fin troppo: basta confrontare le parti chitarristiche di "La Carrozza Di Hans" e "21st Century Schiziod Man" dei King Crimson) e di conseguenza di maggior successo in patria e oltre (mitizzato il tempoaneo successo negli Stati Uniti), di grande pregio comunque i primi tre dischi ("Storia Di Un Minuto", "Per Un Amico", "L'Isola di Niente"). Differente la proposta del Banco, gruppo meno spettacolare ma più articolato e in qualche maniera più colto. Tra tutti, da segnalare "Darwin", "Io Sono Nato Libero" e una bella opera di camerismo rock contemporaneo come "Di Terra".
Meno considerate, Le Orme partono alla fine dei 60 come un gruppo beat-pop, poi la svolta progressiva con "Collage". La matrice pop rimane sempre comunque sullo sfondo, notevoli comunque "Uomo Di Pezza", "Felona E Sorona" e l'ambizioso "Contrappunti".
Dietro questi tre gruppi, una folla di produzioni spesso scopiazzate e maldestre, con qualche piccolo gioiellino tra tanta mediocrità: tra tutti segnaliamo almeno "Forse Le Lucciole Non Si Amano Più" della Locanda Delle Fate.
Ma la scena italiana è in realtà molto più ricca e originale. Impossibile non citare il progressive venato di jazz e sperimentazione degli Area del cantante Demetrio Stratos, il prog para-canterburiano dei Picchio Dal Pozzo, il jazz rock dei Perigeo, l'avanguardia degli Opus Avantra e dei Pierrot Lunaire, il progressive distorto, oscuro e "drogato" del Balletto Di Bronzo, gli esperimenti vocali del primo Alan Sorrenti (sulla falsariga di quelli precedenti di Tim Buckley) e quelli al limite di avanguardia aleatoria e rumorismo del primo Franco Battiato, solo marginalmente legato al genere ("Sulle Corde Di Aries", 1973), il prog catacombale, ingenuo ma a suo modo unico degli Jacula e prima di tutti, nel 1967, un'opera unica nella scena italiana come la sintesi di psichedelia, rumorismo e sperimentazione dell'opera omonima e unica delle Stelle Di Mario Schifano, non certo un disco prog ma antesignano di un certo approccio stilistico.
Il progressivo in Europa e in Italia
Fin qui ci siamo limitati alla scena inglese, ma il progressive ha prodotto una quantità enorme di dischi ai quattro angoli del globo, spesso con pedisseque imitazioni e clamorose ingenuità, anche con opere notevoli, di grande spessore e originalità.
Limiteremo una breve descrizione a tre nazioni dove la produzione almeno qualitativamente è stata, a mio parere, migliore e più significativa: la Germania, la Francia e, perché no, l'Italia.
In Germania la scena musicale nel periodo è eccezionalmente fertile, ma non per merito di un'ondata progressive. In quel periodo, infatti, si sviluppano due correnti di grande impatto e originalità, quella particolare forma di psichedelia tagliente e disillusa chiamata kraut-rock (Can, Amon Duul, Faust, Neu!) e la musica cosmica ed elettronica seminale dei Tangerine Dream e di Klaus Schulze. Sono due momenti molto importanti, vere proprie pietre angolari, basti pensare a quanto gruppi come i Sonic Youth e certo rumorismo debbano al kraut-rock e l'influenza dei Tangerine Dream e di Schulze sulla new age, sull'ambient e su tutta l'elettronica successiva, dal chill-out all'avanguardia più radicale.
Ma accanto a queste tendenze si sviluppa anche un prog di un certo spessore, che ha esattamente le caratteristiche che ci si aspetta da gruppi tedeschi: una certa seriosità di fondo, un clima a volte lievemente decadente e letterario, un'emotività trattenuta e compressa.
Tra i tanti esempi meritano certamente di essere citati gli Eloy, molto pinkfloydiani, i Wallenstein, i Novalis, gli Anyone Daugther e i più sperimentali Agitation Free.
Più originale la scena francese, che ruota attorno a due grandi nomi: gli Ange e i Magma. I primi, forse un po' sopravvalutati dalla critica di settore, sono una specie di Pfm d'oltralpe, con un po' di tecnica in meno e molta teatralità, tipicamente francese, in più. Molti gli epigoni degli Ange (Analyse Grande Espoir ), spesso migliori dell'originale, come gli Atoll, i Pentacle, i Carpe Diem, gli Aracniod...
Di gran lunga più importanti, direi forse uno dei gruppi più importanti del prog, sono invece i Magma, routanti attorno alla figura di Cristian Vander e fautori di una musica unica e originalissima, basata su cellule ritmiche e melodiche che a volte reiterano ossessive, con improvvise aperture epiche e corali e passaggi di raffinatissima psichedelia colta. Gruppo che unisce i Carmina Burana al jazz e alla classica, miscelando il tutto a un rock di una potenza esplosiva, i Magma rimangono uno dei fenomeni più significativi del periodo, tanto da aver creato un genere: lo zeulh, e meriterebbero una trattazione più estesa. in tale sede basti citare tra gli imprescindibili "Kontharkosz" del 1974, "Mekanik Destruktiv Kommando" dell'anno prima e "Magma Live" del 1975.
Last but not least, la scena italiana, che si basa su tre gruppi principali e famosissimi in patria: la Pfm, il Banco e le Orme. La Pfm è decisamente il gruppo più legato al prog anglosassone (fin troppo: basta confrontare le parti chitarristiche di "La Carrozza Di Hans" e "21st Century Schiziod Man" dei King Crimson) e di conseguenza di maggior successo in patria e oltre (mitizzato il tempoaneo successo negli Stati Uniti), di grande pregio comunque i primi tre dischi ("Storia Di Un Minuto", "Per Un Amico", "L'Isola di Niente"). Differente la proposta del Banco, gruppo meno spettacolare ma più articolato e in qualche maniera più colto. Tra tutti, da segnalare "Darwin", "Io Sono Nato Libero" e una bella opera di camerismo rock contemporaneo come "Di Terra".
Meno considerate, Le Orme partono alla fine dei 60 come un gruppo beat-pop, poi la svolta progressiva con "Collage". La matrice pop rimane sempre comunque sullo sfondo, notevoli comunque "Uomo Di Pezza", "Felona E Sorona" e l'ambizioso "Contrappunti".
Dietro questi tre gruppi, una folla di produzioni spesso scopiazzate e maldestre, con qualche piccolo gioiellino tra tanta mediocrità: tra tutti segnaliamo almeno "Forse Le Lucciole Non Si Amano Più" della Locanda Delle Fate.
Ma la scena italiana è in realtà molto più ricca e originale. Impossibile non citare il progressive venato di jazz e sperimentazione degli Area del cantante Demetrio Stratos, il prog para-canterburiano dei Picchio Dal Pozzo, il jazz rock dei Perigeo, l'avanguardia degli Opus Avantra e dei Pierrot Lunaire, il progressive distorto, oscuro e "drogato" del Balletto Di Bronzo, gli esperimenti vocali del primo Alan Sorrenti (sulla falsariga di quelli precedenti di Tim Buckley) e quelli al limite di avanguardia aleatoria e rumorismo del primo Franco Battiato, solo marginalmente legato al genere ("Sulle Corde Di Aries", 1973), il prog catacombale, ingenuo ma a suo modo unico degli Jacula e prima di tutti, nel 1967, un'opera unica nella scena italiana come la sintesi di psichedelia, rumorismo e sperimentazione dell'opera omonima e unica delle Stelle Di Mario Schifano, non certo un disco prog ma antesignano di un certo approccio stilistico.
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STORIA DEL ROCK-PROGRESSIVO
parte 9
La crisi e il deserto (1977-1983)
Il progressive rimane il genere principale di tutto il rock fino alla metà degli anni 70, tanto da poter essere considerato la matrice dell'espressività musicale di un intero decennio, di quella particolare aura che si avverte quando si ascolta un disco "dei Settanta".
Nella seconda metà degli anni 70, il genere comincia a mostrare un po' la corda, escono ancora buoni dischi ma si comincia ad avvertire qualche segno di stagnazione.
I King Crimson sono sciolti (riappariranno nel 1981), i Genesis senza più Peter Gabriel nel biennio 1976-1977 escono con due classici come "A Trick Of The Tail" e "Wind And Wuthering" ma già nel '78 viene pubblicato " ...And Then There Were Three", disco eccellente e pienamente progressivo ma anche minato dal virus della deriva pop ("Follow You Follow Me" e "Many Too Many" i singoli) che si renderà evidente nel decennio successivo; gli Yes nel '76 licenziano l'ottimo "Going For The One", ma nel '78 lasciano perplessi tutti con "Tormato", gli Elp sfornano tour mastodontici e dischi non all'altezza, i Vdgg si suicidano nel '78 lasciando un disco di chiara impronta new wave come il doppio dal vivo "Vital"; i Jethro Tull continuano con la media di un disco all'anno, sicuramente senza infamia ma anche senza grossi picchi; molti altri gruppi arrancano o si stanno sciogliendo, in generale la produzione è di livello inferiore a solo tre-quattro anni prima. In tale contesto, esplode il fenomeno punk e contestualmente la new wave, due momenti di chiara discontinuità rispetto al passato prossimo; quasi una catarsi nihilista il punk, che durerà "l'espace di un matin", quasi un ripiegarsi consapevole sul crollo di una illusione la new wave. Tra i due generi emergenti della fine dei 70, il successo della disco-music, l'altra faccia della medaglia del punk: stesso completo disimpegno, stessa veicolazione pulsionale, stessi intenti, stesso legame con il marketing. Quello che cambia è il target umano manipolato e la capacità dei musicisti impegnati (enorme il divario a favore della disco-music).
Per il rock è una regressione nell'utero rassicurante delle balere anni 50 e in un ribellismo da cartolina, innocuo, cartonato, ingenuo. Il famoso ritorno ai due accordi-due del punk non è una rivoluzione, non è un ritorno al significato primigenio del rock, non è un ritorno a un'espressività musicale più vivida e sincera, quanto piuttosto il contrario: è il rassicurante ritorno a una forma già digerita e metabolizzata, è il ritorno al valore musicale relazionato agli effetti che provoca sugli ascoltatori, è una regressione alla manipolazione delle coscienze giovanili, è l'anestesia del pensiero, è un ritorno alla musica come socialità, Leviatano insaziabile divoratore di ogni arte. Il punk, a giudizio di chi scrive, è la restaurazione.
Oltre a un calo qualitativo e al successo di altri generi, un altro fattore inevitabile quanto banale e prevedibile è più di ogni altro alla base della crisi del progressive: il cambio inevitabile delle mode, quell'oscuro e visibilissimo meccanismo che porta un'espressione umana ad avere una nascita, un apogeo e un declino.
Ecco, nella seconda metà dei 70 il progressive è in declino. Quasi morto. Il genere si dissolve, la maggior parte dei gruppi a cavallo dei due decenni sono sciolti o hanno cambiato genere, nuovi gruppi si vedono solo nelle cantine, non c'è praticamente nulla, un deserto totale, la stampa parla di progressive solo per attaccare retrospettivamente il genere; esce ancora ottima musica, sia ben inteso, ma non più progressive. Sembrerebbe finita lì. Invece no.
La crisi e il deserto (1977-1983)
Il progressive rimane il genere principale di tutto il rock fino alla metà degli anni 70, tanto da poter essere considerato la matrice dell'espressività musicale di un intero decennio, di quella particolare aura che si avverte quando si ascolta un disco "dei Settanta".
Nella seconda metà degli anni 70, il genere comincia a mostrare un po' la corda, escono ancora buoni dischi ma si comincia ad avvertire qualche segno di stagnazione.
I King Crimson sono sciolti (riappariranno nel 1981), i Genesis senza più Peter Gabriel nel biennio 1976-1977 escono con due classici come "A Trick Of The Tail" e "Wind And Wuthering" ma già nel '78 viene pubblicato " ...And Then There Were Three", disco eccellente e pienamente progressivo ma anche minato dal virus della deriva pop ("Follow You Follow Me" e "Many Too Many" i singoli) che si renderà evidente nel decennio successivo; gli Yes nel '76 licenziano l'ottimo "Going For The One", ma nel '78 lasciano perplessi tutti con "Tormato", gli Elp sfornano tour mastodontici e dischi non all'altezza, i Vdgg si suicidano nel '78 lasciando un disco di chiara impronta new wave come il doppio dal vivo "Vital"; i Jethro Tull continuano con la media di un disco all'anno, sicuramente senza infamia ma anche senza grossi picchi; molti altri gruppi arrancano o si stanno sciogliendo, in generale la produzione è di livello inferiore a solo tre-quattro anni prima. In tale contesto, esplode il fenomeno punk e contestualmente la new wave, due momenti di chiara discontinuità rispetto al passato prossimo; quasi una catarsi nihilista il punk, che durerà "l'espace di un matin", quasi un ripiegarsi consapevole sul crollo di una illusione la new wave. Tra i due generi emergenti della fine dei 70, il successo della disco-music, l'altra faccia della medaglia del punk: stesso completo disimpegno, stessa veicolazione pulsionale, stessi intenti, stesso legame con il marketing. Quello che cambia è il target umano manipolato e la capacità dei musicisti impegnati (enorme il divario a favore della disco-music).
Per il rock è una regressione nell'utero rassicurante delle balere anni 50 e in un ribellismo da cartolina, innocuo, cartonato, ingenuo. Il famoso ritorno ai due accordi-due del punk non è una rivoluzione, non è un ritorno al significato primigenio del rock, non è un ritorno a un'espressività musicale più vivida e sincera, quanto piuttosto il contrario: è il rassicurante ritorno a una forma già digerita e metabolizzata, è il ritorno al valore musicale relazionato agli effetti che provoca sugli ascoltatori, è una regressione alla manipolazione delle coscienze giovanili, è l'anestesia del pensiero, è un ritorno alla musica come socialità, Leviatano insaziabile divoratore di ogni arte. Il punk, a giudizio di chi scrive, è la restaurazione.
Oltre a un calo qualitativo e al successo di altri generi, un altro fattore inevitabile quanto banale e prevedibile è più di ogni altro alla base della crisi del progressive: il cambio inevitabile delle mode, quell'oscuro e visibilissimo meccanismo che porta un'espressione umana ad avere una nascita, un apogeo e un declino.
Ecco, nella seconda metà dei 70 il progressive è in declino. Quasi morto. Il genere si dissolve, la maggior parte dei gruppi a cavallo dei due decenni sono sciolti o hanno cambiato genere, nuovi gruppi si vedono solo nelle cantine, non c'è praticamente nulla, un deserto totale, la stampa parla di progressive solo per attaccare retrospettivamente il genere; esce ancora ottima musica, sia ben inteso, ma non più progressive. Sembrerebbe finita lì. Invece no.
Ospite- Ospite
STORIA DEL ROCK-PROGRESSIVO
parte 10
Una rinascita carbonara
Nel 1983 appare nei negozi un disco. Si chiama "Script For A Jester Tears". Il gruppo si chiama Marillion. Ed è un disco spudoratamente progressive, direi spudoratamente genesisiano. Tutto è progressive: la musica, i testi, il logo, il nome, la voce del cantante clamorosamente gabrieliana. Ma questo non farebbe in sé notizia. La notizia è che il disco, certo gradevolissimo ma non eccezionale, ha un certo successo di vendita in tutta Europa. I Marillion proseguiranno con alterne vicende fino ai nostri giorni, il terzo disco (una suite in due facciate e un concept) "Misplaced Childhood" sarà il loro più grande successo, ma ormai la scintilla è scoccata: dietro di loro cominciano ad apparire altri gruppi, quasi tutti di matrice Yes/Genesis: gli IQ, i Pendragon, i Twelth Night i principali; qualcosa riappare sulla stampa, gli appassionati cominciano ad avere qualche punto di riferimento in qualche fanzine, negli anni la produzione continua a crescere, nascono pure piccole etichette e negozi specializzati. Il progressive diventa un genere di nicchia, carbonaro, poco visibile ma tutt'altro che sparuto.
Ma la musica com'è? Beh il new-prog (così verrà chiamato) per tutti gli anni 80 ha come riferimento il mainstream degli Yes e dei Genesis, con però un importante cambio nella strumentazione grazie all'avvento delle tastiere elettroniche, che danno un mood più moderno ai pezzi; poi prevale una certa semplificazione del materiale, spesso accattivante e orecchiabile ma di buon impatto espressivo e sufficientemente strutturato. Non mancano ingenuità dilettantesche e spesso un senso di precarietà, capolavori non ne escono, certo, però in mezzo a tanto prodotti mediocri si intravedono anche buoni dischi e qualche talento. Poi, agli inizi dei 90, la produzione comincia a essere enorme, escono ancora moltissimi prodotti di scarto ma comincia a esserci una maggiore differenziazione del materiale che sale qualitativamente e professionalmente, ma soprattutto succede una cosa forse imprevedibile: la scena inglese non è più la principale, anzi il new prog inglese sembra privo di vera spinta propulsiva, stagnante e un po' noioso. Buonissime cose invece provengono dalla Scandinavia e dalla Svezia in particolare (Anekdoten, Anglagard, Landberk, Isildurs Bane i principali), dagli Usa (Echolyn), dall'Italia (Finisterre, Deus Ex Machina), persino dall'Ungheria (After Crying). I riferimenti poi non si limitano più ai Genesis (quello che verrà detto prog-sinfonico), ma si cominciano a citare i King Crimson e i Gentle Giant: non si pensi assolutamente in tutti i casi a imitazioni pedisseque (che comunque non mancano), ci sono riferimenti, certo, ma anche originalità di proposta, inventiva, intelligenza.
Tra la fine degli anni 80 e l'inizio dei 90, il progressive risulta essere un genere, a parte la parentesi dei Marillion, di scarsa rilevanza commerciale (comunque non nulla: i dischi più in voga hanno comunque tirature calcolate in decine di migliaia di pezzi ), con seguito magari poco visibile ma consolidato e generalmente competente, ma soprattutto si ha una quantità enorme di proposte, magari mal distribuite, segno di una certa vivacità. Il progressive sembrerebbe quindi destinato a sopravvivere nella passione di vecchi nostalgici e di pochi nuovi adepti, un genere residuale, di nicchia, per quanto larga sia, ma poco o nulla influente. Ma forse no.
Una rinascita carbonara
Nel 1983 appare nei negozi un disco. Si chiama "Script For A Jester Tears". Il gruppo si chiama Marillion. Ed è un disco spudoratamente progressive, direi spudoratamente genesisiano. Tutto è progressive: la musica, i testi, il logo, il nome, la voce del cantante clamorosamente gabrieliana. Ma questo non farebbe in sé notizia. La notizia è che il disco, certo gradevolissimo ma non eccezionale, ha un certo successo di vendita in tutta Europa. I Marillion proseguiranno con alterne vicende fino ai nostri giorni, il terzo disco (una suite in due facciate e un concept) "Misplaced Childhood" sarà il loro più grande successo, ma ormai la scintilla è scoccata: dietro di loro cominciano ad apparire altri gruppi, quasi tutti di matrice Yes/Genesis: gli IQ, i Pendragon, i Twelth Night i principali; qualcosa riappare sulla stampa, gli appassionati cominciano ad avere qualche punto di riferimento in qualche fanzine, negli anni la produzione continua a crescere, nascono pure piccole etichette e negozi specializzati. Il progressive diventa un genere di nicchia, carbonaro, poco visibile ma tutt'altro che sparuto.
Ma la musica com'è? Beh il new-prog (così verrà chiamato) per tutti gli anni 80 ha come riferimento il mainstream degli Yes e dei Genesis, con però un importante cambio nella strumentazione grazie all'avvento delle tastiere elettroniche, che danno un mood più moderno ai pezzi; poi prevale una certa semplificazione del materiale, spesso accattivante e orecchiabile ma di buon impatto espressivo e sufficientemente strutturato. Non mancano ingenuità dilettantesche e spesso un senso di precarietà, capolavori non ne escono, certo, però in mezzo a tanto prodotti mediocri si intravedono anche buoni dischi e qualche talento. Poi, agli inizi dei 90, la produzione comincia a essere enorme, escono ancora moltissimi prodotti di scarto ma comincia a esserci una maggiore differenziazione del materiale che sale qualitativamente e professionalmente, ma soprattutto succede una cosa forse imprevedibile: la scena inglese non è più la principale, anzi il new prog inglese sembra privo di vera spinta propulsiva, stagnante e un po' noioso. Buonissime cose invece provengono dalla Scandinavia e dalla Svezia in particolare (Anekdoten, Anglagard, Landberk, Isildurs Bane i principali), dagli Usa (Echolyn), dall'Italia (Finisterre, Deus Ex Machina), persino dall'Ungheria (After Crying). I riferimenti poi non si limitano più ai Genesis (quello che verrà detto prog-sinfonico), ma si cominciano a citare i King Crimson e i Gentle Giant: non si pensi assolutamente in tutti i casi a imitazioni pedisseque (che comunque non mancano), ci sono riferimenti, certo, ma anche originalità di proposta, inventiva, intelligenza.
Tra la fine degli anni 80 e l'inizio dei 90, il progressive risulta essere un genere, a parte la parentesi dei Marillion, di scarsa rilevanza commerciale (comunque non nulla: i dischi più in voga hanno comunque tirature calcolate in decine di migliaia di pezzi ), con seguito magari poco visibile ma consolidato e generalmente competente, ma soprattutto si ha una quantità enorme di proposte, magari mal distribuite, segno di una certa vivacità. Il progressive sembrerebbe quindi destinato a sopravvivere nella passione di vecchi nostalgici e di pochi nuovi adepti, un genere residuale, di nicchia, per quanto larga sia, ma poco o nulla influente. Ma forse no.
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STORIA DEL ROCK-PROGRESSIVO
parte 11
Nuovo Millennio
Dalla metà degli anni 90 il termine progressive comincia sempre più a fare capolino nella stampa musicale ufficiale e generalista e tra gli appassionati di rock in generale, il genere esce un po' dal dimenticatoio delle nostalgie e vive un piccola fase di maggiore esposizione. Vediamo alcune delle ragioni.
- Prende piede e ha notevole successo un sottogenere del progressive: il progressive-metal, cioè l'unione di strutturazione generale dei pezzi di tipo progressive con sonorità, durezze, epicità e strumentazione tipiche del metal. In realtà, tale sottogenere non nasce affatto negli anni 90 ma ha per lo meno un antecedente importante, seppure a volte misconosciuto, negli anni 70: il gruppo canadese dei Rush, che tramite opere seminali e di notevole spessore come "2112", "A Farewell To King", "Hemispheres", "Permanent Waves" e "Moving pictures" ha posto la matrice di una contaminazione tra sonorità hard e progressive ben prima del successo dei Queenryche e soprattutto dei Dream Theatre nonché di tutti gli epigoni (Simphony X, Stratovarius ecc.). Il progressive metal piace, è attaccatissimo da certa critica, ma indubbiamente ha crescente successo sia tra gli appassionati di progressive che tra gli appassionati di metal, che sono molti di più e seguono un genere bistrattato ma che non conosce tramonto. Bisognerà che un giorno qualcuno in sede critica se ne accorga.
La produzione prog-metal è notevole, la maggior parte dei dischi non può che lasciare qualche perplessità tra i progster "old-fashion", per via di una epicità un po' facilona e di grana grossa, pregna di un tecnicismo muscolare un po' banalotto e infantile, certo è comunque che almeno certi dischi dei Dream Theatre ("Awake") e dei Queenryche ("Operation Mindcrime") vivono di luce propria e che forse in un mondo musicale di depressi è salutare ogni tanto ascoltare anche un assolo di John Petrucci dei Dream Theatre, l'ultimo guitar-hero.
- Dal mucchio dei gruppi progressive spunta e ha una certa risonanza (sempre in senso relativo, si intende), specie in Italia, una formazione inglese: i Porcupine Tree. Non sono migliori di tanti altri (anzi) ma mescolano con scaltrezza un progressive dilatato di stampo floydiano con impianti melodici accattivanti, orecchiabili, di buon impatto commerciale.
- Il termine progressive viene associato a una serie di proposte musicali di avant-rock spesso facenti capo all'etichetta americana Cuneiform.
Si tratta di gruppi (Muffins, Miriodor, Birdsong Of Mesozoic e altri), spesso originatisi nella seconda metà degli anni 70, che mescolano con estrema disinvoltura il rock con un certo jazz d'avanguardia o con la musica classica contemporanea. Si tratta di aspetti musicali marginali ma guardati e giudicati, giustamente, con estremo rispetto dalla stampa e quindi per questo in qualche modo rilevanti. Nel calderone di questo rock colto rientrano sicuramente gruppi come gli Univers Zero e gli Art Zoyd, capostipiti di quello che viene comunemente definito "rock in opposition (Rio). Discutibile se tali proposte possano a ragione essere annoverate pienamente nel genere progressive; da una parte la ricchezza e la complessità della proposta non sono certo antitetiche all'utopia del progressive, dall'altro a volte il punto di partenza non sembra essere propriamente rock quanto piuttosto ricercabile nelle altre musiche del 900.
- Dulcis in fundo: sempre più insistentemente negli ultimi anni si è parlato di (nuovo) progressive per una serie di proposte musicali sia legate a una nuova vena drammaturgica che ha fatto capolino nel rock (Radiohead, Muse), sia legate a un certo post-rock iperstutturale (Tortoise) o psichedelico-ambientale (Sigur Ròs, Tarentel), sia al ritorno di una certa ambizione sperimentale (Cerberus Shoal), sia a nuove proposte di minimalismo epico (Godspeed You Black Emperor!). Si tratta di opere e gruppi in alcuni casi anche validi e interessanti, ma che mediamente godono di una considerazione critica francamente eccessiva. Essi, tuttavia, riscuotono grandi consensi anche tra gli appassionati di progressive, come si è visto all'inizio di questa piccola monografia. Pletorico, in tale contesto, analizzare caso per caso: il termine progressive è in generale consono per quanto riguarda gli aspetti di ambizione e di velleitarismo musicale e artistico nonché, ma non sempre, per gli aspetti lirico-drammatici e di elaborazione del materiale; meno consono appare invece il parallelo per quanto riguarda gli aspetti più propriamente formali.
Il progressive all'inizio del millennio appare quindi diviso tra revanscismo e innovazione, tra formalismo ed evoluzione, e in una certa ottica appare come un genere tutt'altro che secondario. A meno di non considerare il rimedio (la nebulizzazione formale del genere) peggiore del male (la ghettizzazione nella gabbia di parametri musicali legati ormai al passato).
Nuovo Millennio
Dalla metà degli anni 90 il termine progressive comincia sempre più a fare capolino nella stampa musicale ufficiale e generalista e tra gli appassionati di rock in generale, il genere esce un po' dal dimenticatoio delle nostalgie e vive un piccola fase di maggiore esposizione. Vediamo alcune delle ragioni.
- Prende piede e ha notevole successo un sottogenere del progressive: il progressive-metal, cioè l'unione di strutturazione generale dei pezzi di tipo progressive con sonorità, durezze, epicità e strumentazione tipiche del metal. In realtà, tale sottogenere non nasce affatto negli anni 90 ma ha per lo meno un antecedente importante, seppure a volte misconosciuto, negli anni 70: il gruppo canadese dei Rush, che tramite opere seminali e di notevole spessore come "2112", "A Farewell To King", "Hemispheres", "Permanent Waves" e "Moving pictures" ha posto la matrice di una contaminazione tra sonorità hard e progressive ben prima del successo dei Queenryche e soprattutto dei Dream Theatre nonché di tutti gli epigoni (Simphony X, Stratovarius ecc.). Il progressive metal piace, è attaccatissimo da certa critica, ma indubbiamente ha crescente successo sia tra gli appassionati di progressive che tra gli appassionati di metal, che sono molti di più e seguono un genere bistrattato ma che non conosce tramonto. Bisognerà che un giorno qualcuno in sede critica se ne accorga.
La produzione prog-metal è notevole, la maggior parte dei dischi non può che lasciare qualche perplessità tra i progster "old-fashion", per via di una epicità un po' facilona e di grana grossa, pregna di un tecnicismo muscolare un po' banalotto e infantile, certo è comunque che almeno certi dischi dei Dream Theatre ("Awake") e dei Queenryche ("Operation Mindcrime") vivono di luce propria e che forse in un mondo musicale di depressi è salutare ogni tanto ascoltare anche un assolo di John Petrucci dei Dream Theatre, l'ultimo guitar-hero.
- Dal mucchio dei gruppi progressive spunta e ha una certa risonanza (sempre in senso relativo, si intende), specie in Italia, una formazione inglese: i Porcupine Tree. Non sono migliori di tanti altri (anzi) ma mescolano con scaltrezza un progressive dilatato di stampo floydiano con impianti melodici accattivanti, orecchiabili, di buon impatto commerciale.
- Il termine progressive viene associato a una serie di proposte musicali di avant-rock spesso facenti capo all'etichetta americana Cuneiform.
Si tratta di gruppi (Muffins, Miriodor, Birdsong Of Mesozoic e altri), spesso originatisi nella seconda metà degli anni 70, che mescolano con estrema disinvoltura il rock con un certo jazz d'avanguardia o con la musica classica contemporanea. Si tratta di aspetti musicali marginali ma guardati e giudicati, giustamente, con estremo rispetto dalla stampa e quindi per questo in qualche modo rilevanti. Nel calderone di questo rock colto rientrano sicuramente gruppi come gli Univers Zero e gli Art Zoyd, capostipiti di quello che viene comunemente definito "rock in opposition (Rio). Discutibile se tali proposte possano a ragione essere annoverate pienamente nel genere progressive; da una parte la ricchezza e la complessità della proposta non sono certo antitetiche all'utopia del progressive, dall'altro a volte il punto di partenza non sembra essere propriamente rock quanto piuttosto ricercabile nelle altre musiche del 900.
- Dulcis in fundo: sempre più insistentemente negli ultimi anni si è parlato di (nuovo) progressive per una serie di proposte musicali sia legate a una nuova vena drammaturgica che ha fatto capolino nel rock (Radiohead, Muse), sia legate a un certo post-rock iperstutturale (Tortoise) o psichedelico-ambientale (Sigur Ròs, Tarentel), sia al ritorno di una certa ambizione sperimentale (Cerberus Shoal), sia a nuove proposte di minimalismo epico (Godspeed You Black Emperor!). Si tratta di opere e gruppi in alcuni casi anche validi e interessanti, ma che mediamente godono di una considerazione critica francamente eccessiva. Essi, tuttavia, riscuotono grandi consensi anche tra gli appassionati di progressive, come si è visto all'inizio di questa piccola monografia. Pletorico, in tale contesto, analizzare caso per caso: il termine progressive è in generale consono per quanto riguarda gli aspetti di ambizione e di velleitarismo musicale e artistico nonché, ma non sempre, per gli aspetti lirico-drammatici e di elaborazione del materiale; meno consono appare invece il parallelo per quanto riguarda gli aspetti più propriamente formali.
Il progressive all'inizio del millennio appare quindi diviso tra revanscismo e innovazione, tra formalismo ed evoluzione, e in una certa ottica appare come un genere tutt'altro che secondario. A meno di non considerare il rimedio (la nebulizzazione formale del genere) peggiore del male (la ghettizzazione nella gabbia di parametri musicali legati ormai al passato).
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Re: STORIA DEL PROGRESSIVE-ROCK
the teacher ha scritto:parte 11
Nuovo Millennio
Dalla metà degli anni 90 il termine progressive comincia sempre più a fare capolino nella stampa musicale ufficiale e generalista e tra gli appassionati di rock in generale, il genere esce un po' dal dimenticatoio delle nostalgie e vive un piccola fase di maggiore esposizione. Vediamo alcune delle ragioni.
- Prende piede e ha notevole successo un sottogenere del progressive: il progressive-metal, cioè l'unione di strutturazione generale dei pezzi di tipo progressive con sonorità, durezze, epicità e strumentazione tipiche del metal. In realtà, tale sottogenere non nasce affatto negli anni 90 ma ha per lo meno un antecedente importante, seppure a volte misconosciuto, negli anni 70: il gruppo canadese dei Rush, che tramite opere seminali e di notevole spessore come "2112", "A Farewell To King", "Hemispheres", "Permanent Waves" e "Moving pictures" ha posto la matrice di una contaminazione tra sonorità hard e progressive ben prima del successo dei Queenryche e soprattutto dei Dream Theatre nonché di tutti gli epigoni (Simphony X, Stratovarius ecc.). Il progressive metal piace, è attaccatissimo da certa critica, ma indubbiamente ha crescente successo sia tra gli appassionati di progressive che tra gli appassionati di metal, che sono molti di più e seguono un genere bistrattato ma che non conosce tramonto. Bisognerà che un giorno qualcuno in sede critica se ne accorga.
La produzione prog-metal è notevole, la maggior parte dei dischi non può che lasciare qualche perplessità tra i progster "old-fashion", per via di una epicità un po' facilona e di grana grossa, pregna di un tecnicismo muscolare un po' banalotto e infantile, certo è comunque che almeno certi dischi dei Dream Theatre ("Awake") e dei Queenryche ("Operation Mindcrime") vivono di luce propria e che forse in un mondo musicale di depressi è salutare ogni tanto ascoltare anche un assolo di John Petrucci dei Dream Theatre, l'ultimo guitar-hero.
- Dal mucchio dei gruppi progressive spunta e ha una certa risonanza (sempre in senso relativo, si intende), specie in Italia, una formazione inglese: i Porcupine Tree. Non sono migliori di tanti altri (anzi) ma mescolano con scaltrezza un progressive dilatato di stampo floydiano con impianti melodici accattivanti, orecchiabili, di buon impatto commerciale.
- Il termine progressive viene associato a una serie di proposte musicali di avant-rock spesso facenti capo all'etichetta americana Cuneiform.
Si tratta di gruppi (Muffins, Miriodor, Birdsong Of Mesozoic e altri), spesso originatisi nella seconda metà degli anni 70, che mescolano con estrema disinvoltura il rock con un certo jazz d'avanguardia o con la musica classica contemporanea. Si tratta di aspetti musicali marginali ma guardati e giudicati, giustamente, con estremo rispetto dalla stampa e quindi per questo in qualche modo rilevanti. Nel calderone di questo rock colto rientrano sicuramente gruppi come gli Univers Zero e gli Art Zoyd, capostipiti di quello che viene comunemente definito "rock in opposition (Rio). Discutibile se tali proposte possano a ragione essere annoverate pienamente nel genere progressive; da una parte la ricchezza e la complessità della proposta non sono certo antitetiche all'utopia del progressive, dall'altro a volte il punto di partenza non sembra essere propriamente rock quanto piuttosto ricercabile nelle altre musiche del 900.
- Dulcis in fundo: sempre più insistentemente negli ultimi anni si è parlato di (nuovo) progressive per una serie di proposte musicali sia legate a una nuova vena drammaturgica che ha fatto capolino nel rock (Radiohead, Muse), sia legate a un certo post-rock iperstutturale (Tortoise) o psichedelico-ambientale (Sigur Ròs, Tarentel), sia al ritorno di una certa ambizione sperimentale (Cerberus Shoal), sia a nuove proposte di minimalismo epico (Godspeed You Black Emperor!). Si tratta di opere e gruppi in alcuni casi anche validi e interessanti, ma che mediamente godono di una considerazione critica francamente eccessiva. Essi, tuttavia, riscuotono grandi consensi anche tra gli appassionati di progressive, come si è visto all'inizio di questa piccola monografia. Pletorico, in tale contesto, analizzare caso per caso: il termine progressive è in generale consono per quanto riguarda gli aspetti di ambizione e di velleitarismo musicale e artistico nonché, ma non sempre, per gli aspetti lirico-drammatici e di elaborazione del materiale; meno consono appare invece il parallelo per quanto riguarda gli aspetti più propriamente formali.
Il progressive all'inizio del millennio appare quindi diviso tra revanscismo e innovazione, tra formalismo ed evoluzione, e in una certa ottica appare come un genere tutt'altro che secondario. A meno di non considerare il rimedio (la nebulizzazione formale del genere) peggiore del male (la ghettizzazione nella gabbia di parametri musicali legati ormai al passato).
Ultima modifica di CUBEREACTION il Ven 10 Ott 2008 - 22:19 - modificato 1 volta. (Motivazione : NON CI CREDO!!! STESSI GUSTI MUSICALI!!!! SCRIVO QUI PERCHE' E' L'UNICO POSTO IN CUI COMPAIO...SIGH...)
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Re: STORIA DEL PROGRESSIVE-ROCK
moris77 ha scritto:http://it.youtube.com/watch?v=5APy5kqdgPU
immensi....
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Re: STORIA DEL PROGRESSIVE-ROCK
Cavolo un ottimo progressive teacher!
Credo che gran parte dell'ottima musica del tempo sarà irripetibile...
Credo che gran parte dell'ottima musica del tempo sarà irripetibile...
henry jop- Cubista primitivus
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Re: STORIA DEL PROGRESSIVE-ROCK
VI PRESENTO I DREAM THEATER
Le radici dei Dream Theater sono da ricercare nella prestigiosa Berkelee School, dove si incontrano per la prima volta il batterista Mike Portnoy, il chitarrista John Petrucci e il bassista John Myung... come Mike ha detto, trovare gente in sincronia musicale con lui e che vivevano lontano l'un dall'altro soli 40 minuti era una benedizione divina; niente di più vero, perchè subito i tre ragazzi capiscono che il loro destino musicale porta verso la stessa strada, e una volta "scoperto" nella scuola il tastierista Kevin Moore, i quattro fondano i Majesty e si mettono alla ricerca di un cantante, per poter fare il loro debutto nel mondo del prog.
Una volta trovato Chris Collins (non un grande affare, a dire il vero), il quintetto produce il demo chiamato semplicemente "Majesty Demos", un gruppo di sei canzoni che catalizza subito l'attenzione su di loro e sulle loro possibilità. Nell'ottica della possibile registrazione di un album, i Majesty scelgono di cercare un cantante con più spessore tecnico di Collins, e dopo varie ricerche trovano alla fine Charlie Dominici, cantante già navigato e dotato dell'esperienza che ai quattro sbarbatelli ancora mancava. Un "incidente di percorso" si verifica quando spunta fuori un'altra band che si chiama Majesty; i ragazzi devono rinunciare a quel nome a loro caro e, grazie a un suggerimento del padre di Portnoy, nascono quindi i Dream Theater.
IL SOGNO E IL GIORNO SI UNISCONO: NASCONO I DREAM THEATER
L'album di debutto si chiama When Dream and Day Unite ed esce nel 1989; forse un pò acerbo (e senz'altro con un sound pessimo) l'album è comunque un gran bell'esordio e presenta gemme come A fortune in Lies, The Killing Hand - opus epico di 8 minuti -, Only a Matter of Time, e la strumentale The Ytse Jam (no, nessun riferimento alle radici orientali di Myung o qualche altro significato oscuro... Ytse Jam è solo Majesty al contrario! ^_^), pezzi che (se pur raramente) ogni tanto fanno la loro ricomparsa nei concerti.
Dopo la realizzazione dell'album e il relativo tour, è chiaro però che Dominici non è la scelta più adatta per i Dream Theater... diversità sia musicali sia personali (Charlie era molto più vecchio di loro e il prog non era esattamente il suo grande amore), oltre a un certo limite di Dominici oltre il quale le nuove direzioni musicali del gruppo si stavano spingendo, portano al suo siluramento e alla ricerca di un nuovo cantante... che però non si trova! tutto un album nuovo viene scritto, senza però riuscire a donargli la voce, ed è solo dopo un anno, quando Portnoy, Petrucci, Myung e Moore sono già quasi rassegnati ad andare avanti come un quartetto strumentale, che arriva la segnalazione riguardante il cantante della band canadese Winter Rose... Kevin LaBrie viene invitato a un'audizione e, apriti cielo! finalmente i Dream Theater scoprono il cantante che fa per loro... aggirato il problema della confusione dei nomi (ci sono già due John nella band e due Kevin non è proprio il caso di averli) usando il secondo nome del cantante canadese, James LaBrie prende in mano il microfono in tempo per la realizzazione del secondo album, uscito nel 1992...
IL TRIONFO ISTANTANEO
Images and Words... ovvero, uno dei capolavori assoluti della storia della musica. Non saprei neanche come rendere l'idea, senza essere troppo banale o senzazionalistico, di come quest'album sia un magnifico capolavoro sotto tutti gli aspetti... pezzi veloci come Pull me Under (loro brano più famoso, probabilmente, e anche primo video girato) e Take the Time, cavalcate prog sublimi e inarrivabili come Learning to Live e il capolavoro dei capolavori, Metropolis pt I - The Miracle and the Sleeper, delicate ballate come Another Day, Surrounded, Wait for Sleep... ogni singola nota dell'album è una sublime tessera di un magnifico mosaico qual'è questo Images and Words universalmente acclamato come capolavoro sommo del gruppo americano. Una fortunatissima tourneè segue, immortalata nell'ep Live at the Marquee, in cui LaBrie dimostra doti quasi innaturali... ascoltate la parte finale di The Killing Hand per credere, o meglio, per non credere alle vostre orecchie!
Chiuso questo splendido capitolo della loro carriera, i Dream Theater si dedicano alla realizzazione del nuovo album... ma appena finito il nuovo disco, una tegola si abbatte su di loro. Kevin Moore, i cui gusti musicali si erano col tempo differenziati da quelli del resto della band, decide di lasciare il gruppo... una decisione che sorprende sia i fans sia la band stessa. La perdita di entusiasmo del geniale tastierista non incide però sulla qualità dell'album... perchè Awake, uscito nell'autunno del 1994, è un altro capolavoro con la c maiuscola.
IL POST-KEVIN MOORE
Se Images and Words era "solare" e comunque molto positivo come album, con canzoni dalle melodie edificanti e sollevanti, Awake è decisamente più oscuro, sia nei testi che soprattutto nel sound... quando sento parlare di "prog metal" mi viene in mentre subito quest'album, perchè in effetti è un album durissimo! Caught in a Web, il devastante combo The Mirror - Lie, 6:00, sono tra i pezzi più duri mai scritti dai Dream Theater, ma l'album non è certo monotematico... ci sono ancora le aperture melodiche (l'acustica The Silent Man e la conclusiva Space Dye Vest, scritta interamente da Kevin Moore, che è considerata una sorta di "lascito" del tastierista uscente... non è mai stata suonata dal vivo), e ci sono ancora le canzoni mostruosamente lunghe e mostruosamente belle, come Voices e Scarred... per il tour, dopo aver vagliato per un breve periodo Jordan Rudess (che poi si accasa presso i Dixie Dregs) viene scelto Derek Sherinian, navigato tastierista che aveva lavorato anche con i Kiss... e nelle tappe finali della tourneè, viene annunciato come membro permanente.
Il capitolo successivo della discografia dei Newyorkesi consiste nella realizzazione di un sogno dei fan: dopo esserne rimasti entusiasti durante l'esecuzione dal vivo, un'enorme valanga di richieste si abbatte sui Dream Theater, per sollecitarli all'incisione ufficiale della bellissima e lunghissima A Change of Seasons, una delle prime canzoni mai scritte dal gruppo che, una volta registrata, raggiunge la lunghezza di ben 23 minuti!!!! Questa uscita viene classificata come un EP (intitolato come la canzone, appunto), visto che il brano nuovo è uno solo... il resto del disco è composto da cover live registate ad un concerto speciale tenuto a Gennaio 1995.
SEGNALI DI CEDIMENTO?
Per avere il nuovo album bisogna attendere l'autunno del 1997, quando esce Falling Into Infinity... ma si capisce subito che qualcosa è andato un pò storto. Incastrati in una situazione in cui i loro uomini di fiducia alla casa discografica, l'Elektra, sono stati tutti cambiati, e un pò angustiati da drammi personali (Petrucci ha perso il padre, di cancro, e Portnoy la nonna che era per lui una seconda mamma... quella vera era morta nel 1984 in un incidente aereo...), i Dream Theater non hanno altra scelta che fare il gioco della casa discografica e sfornare un album che ammicchi alla radio e all'ascolto facile. Non che l'album non sia bello, ci sono ancora le cavalcate lunghe e complesse (Lines in the Sand, Trail of Tears), pezzi tirati e coinvolgenti (la divertente Just let me Breathe e Burning my Soul), ballate stratosferiche (Hollow Years, Anna Lee), però si capisce che l'album non è nato genuinamente, che è stato combattuto e sofferto e alla fine l'effetto si risente. Anch'io non saprei spiegare di preciso cosa effettivamente abbia di meno quest'album rispetto agli altri, ma dagli ascolti traspaiono definitivamente degli intoppi infilati qui e lì dalla casa discografica... la tourneè che segue, per fortuna, non risente di questa mezza castrazione artistica, e viene immortalata nella doppia uscita di una videocassetta e di un doppio live, registrato a Parigi nel Giugno del 1998 e fatto uscire nell'autunno successivo, sotto il nome di Once in a LIVEtime.
L'INIZIO DELL'ERA CORRENTE E IL NUOVO CAPOLAVORO
Nel frattempo un pò tutti i membri dei Dream Theater si sono dedicati a progetti solisti, tra i quali Mullmuzzler per James LaBrie e i fenomenali Liquid Tension Experiment con Portnoy, Petrucci, il bassista Tony Levin e il tastierista Jordan Rudess che riescono a comporre un album intero in meno di una settimana! proprio da queste due esperienze (il debutto nel 1997 e il seguito nel 1998) emerge la personalità di Jordan Rudess e la sua magica alchimia con Portony e Petrucci... questa affinità musicale porta al sofferto siluramento di Derek Sherinian, e all'entrata di Rudess nei Dream Theater, all'inizio del 1999.
I Dream Theater entrano quindi in studio, lavorano sino ad agosto, e il risultato esce a fine ottobre dello stesso anno: e che risultato! il sogno più nascosto di ogni fan della band, la canzone più attesa dai tempi di A Change of Seasons: nell'album Images and Words era presente la canzone Metropolis pt 1, che faceva appunto suppore ad una pt 2 prima o poi... da canzone di mezz'ora scritta nel 1996, Metropolis pt 2 diventa un album intero di 77 minuti, intitolato Scenes from a Memory... e qui veramente i Dream Theater raggiungono l'apice della loro carriera. Un fantastico concept album che è un capolavoro assoluto sotto tutti i punti di vista: quello musicale, la prestazione di LaBrie, l'intricatissima storia che si fonde magicamente con le note dell'album che racconta la storia di un uomo e delle sue ipnosi alla ricerca di una donna vissuta negli anni '20 e misteriosamente uccisa, di cui sente essere la reincarnazione... un magnifico viaggio tra i misteri della mente, l'ipnosi, un triangolo amoroso, un omicidio, e un giallo dentro il giallo... ovviamente la reazione dei fans dei Dream Theater è mostruosamente positiva, e dopo un breve tour di riscaldamento in Europa i Dream Theater dedicano il 2000 a girare in lungo e in largo il mondo riproponendo dal vivo l'intero album dall'inizio alla fine, con tanto di video a proiettare delle scene che illustrano meglio le parti più salienti della storia!!
LA CONSACRAZIONE DI SCENES FROM A MEMORY
La tourneè viene immortalata in un monumentale concerto di tre ore e mezza, che diventa un travagliato DVD prima, (per via di ritardi e errori nella masterizzazione), il primo della storia del gruppo, e un grandioso triplo cd la cui uscita viene rinviata poichè sulla copertina spiccava un adattemento del "Sacro Cuore" che hanno adottato da Images and Words in poi, che in pratica riproneva la sagoma di New York e di una Grande Mela avvolti nelle fiamme... e dopo la tragedia dell'11 settembre (data d'uscita del live, tra l'altro) non era proprio il caso di ricorrere a quell'innocente ma ora purtroppo sinistro simbolo.
GIORNI DI TURBOLENZA INTERNA
L'uscita dell'album "Live Scenes from New York" diventa quindi il preludio all'album successivo, ovvero il colossale e controverso Six Degrees of Inner Turbulance: ben due cd col secondo consistente unicamente della pachidermica title track da 42 minuti!!! I fan si dividono su quest'album, chi lo adora alla follia per tutte le innovazioni che trova, e chi invece rimane perplesso dalle evidenti influenze delle band ispiratrici, per non parlare dell'enorme lunghezza dei brani (oltre alla title track, nel lavoro che consta totalmente di solo 6 tracce troviamo due pezzi da 13 minuti e altri due da 10!).
Più unanime, senz'altro, è il responso del pubblico alla tourneè che tiene i Dream Theater in giro per il mondo tutto l'anno: una calata a Febbraio e una estiva costituiscono il "bottino" italiano di questo tour che ha visto concerti lunghissimi da tre ore (la title track viene suonata per intero), e come non citare le "serate speciali" in cui la band ha interamente eseguito, dall'inizio alla fine, l'album Master of Puppets dei Metallica (causando anche qui non poche divisioni tra i fan) e, successivamente, The Number of the Beast degli Iron Maiden... insomma, i Dream Theater hanno dimostrato che in quanto a sperimentazioni e "voglia di osare", sia in studio che dal vivo, non sono secondi a nessuno!
UN TRENO DI PENSIERO
Dopo la tourneè, i Dream Theater non indugiano certo sugli allori, e in un periodo relativamente breve riescono a dare alle stampe Train of Thought, album uscito nel Novembre del 2003. Come annunciato, l'album è il più pesante e tirato della discografia della band, e vuole rappresentare un omaggio alle radici heavy metal del gruppo. Anche qui troviamo brani lunghi e citazioni più o meno evidenti dei gruppi ispiratori della band; il risulato è più compatto e meno esagerato di Six Degrees, ma le discussioni sul disco non sono certo meno pacate (I Dream Theater hanno ormai raggiunto un tale livello di popolarità che nel bene o nel male ogni loro uscita suscita uno spasmodico interesse).
Dal vivo, comunque, la band mette d'accordo tutti, perchè sfodera ancora una volta un tour sontuoso (3 ore, due set separati da una pausa di un quarto d'ora) in cui la vera star è James LaBrie, che beneficia di una forma fisica e vocale straordinaria (il duro lavoro con una nuova maestra di canto ha pagato). Il gruppo gira Europa, Stati Uniti e Giappone e proprio nel paese del Sol Levante registra l'intero concerto tenutosi a Tokio, che uscirà molto presto in forma di doppio DVD / Triplo CD (In DVD sono stati anche ristampati i primi due video della band, Live in Tokio e 5 Years in a Life Time).
Al momento la band è in tour con gli Yes; il futuro porterà questo "Live at the Budokan" prima, e poi chissà quali altre sorprese... i più affezionati al gruppo saranno senz'altro lì in prima fila pronti a godersele.
Le radici dei Dream Theater sono da ricercare nella prestigiosa Berkelee School, dove si incontrano per la prima volta il batterista Mike Portnoy, il chitarrista John Petrucci e il bassista John Myung... come Mike ha detto, trovare gente in sincronia musicale con lui e che vivevano lontano l'un dall'altro soli 40 minuti era una benedizione divina; niente di più vero, perchè subito i tre ragazzi capiscono che il loro destino musicale porta verso la stessa strada, e una volta "scoperto" nella scuola il tastierista Kevin Moore, i quattro fondano i Majesty e si mettono alla ricerca di un cantante, per poter fare il loro debutto nel mondo del prog.
Una volta trovato Chris Collins (non un grande affare, a dire il vero), il quintetto produce il demo chiamato semplicemente "Majesty Demos", un gruppo di sei canzoni che catalizza subito l'attenzione su di loro e sulle loro possibilità. Nell'ottica della possibile registrazione di un album, i Majesty scelgono di cercare un cantante con più spessore tecnico di Collins, e dopo varie ricerche trovano alla fine Charlie Dominici, cantante già navigato e dotato dell'esperienza che ai quattro sbarbatelli ancora mancava. Un "incidente di percorso" si verifica quando spunta fuori un'altra band che si chiama Majesty; i ragazzi devono rinunciare a quel nome a loro caro e, grazie a un suggerimento del padre di Portnoy, nascono quindi i Dream Theater.
IL SOGNO E IL GIORNO SI UNISCONO: NASCONO I DREAM THEATER
L'album di debutto si chiama When Dream and Day Unite ed esce nel 1989; forse un pò acerbo (e senz'altro con un sound pessimo) l'album è comunque un gran bell'esordio e presenta gemme come A fortune in Lies, The Killing Hand - opus epico di 8 minuti -, Only a Matter of Time, e la strumentale The Ytse Jam (no, nessun riferimento alle radici orientali di Myung o qualche altro significato oscuro... Ytse Jam è solo Majesty al contrario! ^_^), pezzi che (se pur raramente) ogni tanto fanno la loro ricomparsa nei concerti.
Dopo la realizzazione dell'album e il relativo tour, è chiaro però che Dominici non è la scelta più adatta per i Dream Theater... diversità sia musicali sia personali (Charlie era molto più vecchio di loro e il prog non era esattamente il suo grande amore), oltre a un certo limite di Dominici oltre il quale le nuove direzioni musicali del gruppo si stavano spingendo, portano al suo siluramento e alla ricerca di un nuovo cantante... che però non si trova! tutto un album nuovo viene scritto, senza però riuscire a donargli la voce, ed è solo dopo un anno, quando Portnoy, Petrucci, Myung e Moore sono già quasi rassegnati ad andare avanti come un quartetto strumentale, che arriva la segnalazione riguardante il cantante della band canadese Winter Rose... Kevin LaBrie viene invitato a un'audizione e, apriti cielo! finalmente i Dream Theater scoprono il cantante che fa per loro... aggirato il problema della confusione dei nomi (ci sono già due John nella band e due Kevin non è proprio il caso di averli) usando il secondo nome del cantante canadese, James LaBrie prende in mano il microfono in tempo per la realizzazione del secondo album, uscito nel 1992...
IL TRIONFO ISTANTANEO
Images and Words... ovvero, uno dei capolavori assoluti della storia della musica. Non saprei neanche come rendere l'idea, senza essere troppo banale o senzazionalistico, di come quest'album sia un magnifico capolavoro sotto tutti gli aspetti... pezzi veloci come Pull me Under (loro brano più famoso, probabilmente, e anche primo video girato) e Take the Time, cavalcate prog sublimi e inarrivabili come Learning to Live e il capolavoro dei capolavori, Metropolis pt I - The Miracle and the Sleeper, delicate ballate come Another Day, Surrounded, Wait for Sleep... ogni singola nota dell'album è una sublime tessera di un magnifico mosaico qual'è questo Images and Words universalmente acclamato come capolavoro sommo del gruppo americano. Una fortunatissima tourneè segue, immortalata nell'ep Live at the Marquee, in cui LaBrie dimostra doti quasi innaturali... ascoltate la parte finale di The Killing Hand per credere, o meglio, per non credere alle vostre orecchie!
Chiuso questo splendido capitolo della loro carriera, i Dream Theater si dedicano alla realizzazione del nuovo album... ma appena finito il nuovo disco, una tegola si abbatte su di loro. Kevin Moore, i cui gusti musicali si erano col tempo differenziati da quelli del resto della band, decide di lasciare il gruppo... una decisione che sorprende sia i fans sia la band stessa. La perdita di entusiasmo del geniale tastierista non incide però sulla qualità dell'album... perchè Awake, uscito nell'autunno del 1994, è un altro capolavoro con la c maiuscola.
IL POST-KEVIN MOORE
Se Images and Words era "solare" e comunque molto positivo come album, con canzoni dalle melodie edificanti e sollevanti, Awake è decisamente più oscuro, sia nei testi che soprattutto nel sound... quando sento parlare di "prog metal" mi viene in mentre subito quest'album, perchè in effetti è un album durissimo! Caught in a Web, il devastante combo The Mirror - Lie, 6:00, sono tra i pezzi più duri mai scritti dai Dream Theater, ma l'album non è certo monotematico... ci sono ancora le aperture melodiche (l'acustica The Silent Man e la conclusiva Space Dye Vest, scritta interamente da Kevin Moore, che è considerata una sorta di "lascito" del tastierista uscente... non è mai stata suonata dal vivo), e ci sono ancora le canzoni mostruosamente lunghe e mostruosamente belle, come Voices e Scarred... per il tour, dopo aver vagliato per un breve periodo Jordan Rudess (che poi si accasa presso i Dixie Dregs) viene scelto Derek Sherinian, navigato tastierista che aveva lavorato anche con i Kiss... e nelle tappe finali della tourneè, viene annunciato come membro permanente.
Il capitolo successivo della discografia dei Newyorkesi consiste nella realizzazione di un sogno dei fan: dopo esserne rimasti entusiasti durante l'esecuzione dal vivo, un'enorme valanga di richieste si abbatte sui Dream Theater, per sollecitarli all'incisione ufficiale della bellissima e lunghissima A Change of Seasons, una delle prime canzoni mai scritte dal gruppo che, una volta registrata, raggiunge la lunghezza di ben 23 minuti!!!! Questa uscita viene classificata come un EP (intitolato come la canzone, appunto), visto che il brano nuovo è uno solo... il resto del disco è composto da cover live registate ad un concerto speciale tenuto a Gennaio 1995.
SEGNALI DI CEDIMENTO?
Per avere il nuovo album bisogna attendere l'autunno del 1997, quando esce Falling Into Infinity... ma si capisce subito che qualcosa è andato un pò storto. Incastrati in una situazione in cui i loro uomini di fiducia alla casa discografica, l'Elektra, sono stati tutti cambiati, e un pò angustiati da drammi personali (Petrucci ha perso il padre, di cancro, e Portnoy la nonna che era per lui una seconda mamma... quella vera era morta nel 1984 in un incidente aereo...), i Dream Theater non hanno altra scelta che fare il gioco della casa discografica e sfornare un album che ammicchi alla radio e all'ascolto facile. Non che l'album non sia bello, ci sono ancora le cavalcate lunghe e complesse (Lines in the Sand, Trail of Tears), pezzi tirati e coinvolgenti (la divertente Just let me Breathe e Burning my Soul), ballate stratosferiche (Hollow Years, Anna Lee), però si capisce che l'album non è nato genuinamente, che è stato combattuto e sofferto e alla fine l'effetto si risente. Anch'io non saprei spiegare di preciso cosa effettivamente abbia di meno quest'album rispetto agli altri, ma dagli ascolti traspaiono definitivamente degli intoppi infilati qui e lì dalla casa discografica... la tourneè che segue, per fortuna, non risente di questa mezza castrazione artistica, e viene immortalata nella doppia uscita di una videocassetta e di un doppio live, registrato a Parigi nel Giugno del 1998 e fatto uscire nell'autunno successivo, sotto il nome di Once in a LIVEtime.
L'INIZIO DELL'ERA CORRENTE E IL NUOVO CAPOLAVORO
Nel frattempo un pò tutti i membri dei Dream Theater si sono dedicati a progetti solisti, tra i quali Mullmuzzler per James LaBrie e i fenomenali Liquid Tension Experiment con Portnoy, Petrucci, il bassista Tony Levin e il tastierista Jordan Rudess che riescono a comporre un album intero in meno di una settimana! proprio da queste due esperienze (il debutto nel 1997 e il seguito nel 1998) emerge la personalità di Jordan Rudess e la sua magica alchimia con Portony e Petrucci... questa affinità musicale porta al sofferto siluramento di Derek Sherinian, e all'entrata di Rudess nei Dream Theater, all'inizio del 1999.
I Dream Theater entrano quindi in studio, lavorano sino ad agosto, e il risultato esce a fine ottobre dello stesso anno: e che risultato! il sogno più nascosto di ogni fan della band, la canzone più attesa dai tempi di A Change of Seasons: nell'album Images and Words era presente la canzone Metropolis pt 1, che faceva appunto suppore ad una pt 2 prima o poi... da canzone di mezz'ora scritta nel 1996, Metropolis pt 2 diventa un album intero di 77 minuti, intitolato Scenes from a Memory... e qui veramente i Dream Theater raggiungono l'apice della loro carriera. Un fantastico concept album che è un capolavoro assoluto sotto tutti i punti di vista: quello musicale, la prestazione di LaBrie, l'intricatissima storia che si fonde magicamente con le note dell'album che racconta la storia di un uomo e delle sue ipnosi alla ricerca di una donna vissuta negli anni '20 e misteriosamente uccisa, di cui sente essere la reincarnazione... un magnifico viaggio tra i misteri della mente, l'ipnosi, un triangolo amoroso, un omicidio, e un giallo dentro il giallo... ovviamente la reazione dei fans dei Dream Theater è mostruosamente positiva, e dopo un breve tour di riscaldamento in Europa i Dream Theater dedicano il 2000 a girare in lungo e in largo il mondo riproponendo dal vivo l'intero album dall'inizio alla fine, con tanto di video a proiettare delle scene che illustrano meglio le parti più salienti della storia!!
LA CONSACRAZIONE DI SCENES FROM A MEMORY
La tourneè viene immortalata in un monumentale concerto di tre ore e mezza, che diventa un travagliato DVD prima, (per via di ritardi e errori nella masterizzazione), il primo della storia del gruppo, e un grandioso triplo cd la cui uscita viene rinviata poichè sulla copertina spiccava un adattemento del "Sacro Cuore" che hanno adottato da Images and Words in poi, che in pratica riproneva la sagoma di New York e di una Grande Mela avvolti nelle fiamme... e dopo la tragedia dell'11 settembre (data d'uscita del live, tra l'altro) non era proprio il caso di ricorrere a quell'innocente ma ora purtroppo sinistro simbolo.
GIORNI DI TURBOLENZA INTERNA
L'uscita dell'album "Live Scenes from New York" diventa quindi il preludio all'album successivo, ovvero il colossale e controverso Six Degrees of Inner Turbulance: ben due cd col secondo consistente unicamente della pachidermica title track da 42 minuti!!! I fan si dividono su quest'album, chi lo adora alla follia per tutte le innovazioni che trova, e chi invece rimane perplesso dalle evidenti influenze delle band ispiratrici, per non parlare dell'enorme lunghezza dei brani (oltre alla title track, nel lavoro che consta totalmente di solo 6 tracce troviamo due pezzi da 13 minuti e altri due da 10!).
Più unanime, senz'altro, è il responso del pubblico alla tourneè che tiene i Dream Theater in giro per il mondo tutto l'anno: una calata a Febbraio e una estiva costituiscono il "bottino" italiano di questo tour che ha visto concerti lunghissimi da tre ore (la title track viene suonata per intero), e come non citare le "serate speciali" in cui la band ha interamente eseguito, dall'inizio alla fine, l'album Master of Puppets dei Metallica (causando anche qui non poche divisioni tra i fan) e, successivamente, The Number of the Beast degli Iron Maiden... insomma, i Dream Theater hanno dimostrato che in quanto a sperimentazioni e "voglia di osare", sia in studio che dal vivo, non sono secondi a nessuno!
UN TRENO DI PENSIERO
Dopo la tourneè, i Dream Theater non indugiano certo sugli allori, e in un periodo relativamente breve riescono a dare alle stampe Train of Thought, album uscito nel Novembre del 2003. Come annunciato, l'album è il più pesante e tirato della discografia della band, e vuole rappresentare un omaggio alle radici heavy metal del gruppo. Anche qui troviamo brani lunghi e citazioni più o meno evidenti dei gruppi ispiratori della band; il risulato è più compatto e meno esagerato di Six Degrees, ma le discussioni sul disco non sono certo meno pacate (I Dream Theater hanno ormai raggiunto un tale livello di popolarità che nel bene o nel male ogni loro uscita suscita uno spasmodico interesse).
Dal vivo, comunque, la band mette d'accordo tutti, perchè sfodera ancora una volta un tour sontuoso (3 ore, due set separati da una pausa di un quarto d'ora) in cui la vera star è James LaBrie, che beneficia di una forma fisica e vocale straordinaria (il duro lavoro con una nuova maestra di canto ha pagato). Il gruppo gira Europa, Stati Uniti e Giappone e proprio nel paese del Sol Levante registra l'intero concerto tenutosi a Tokio, che uscirà molto presto in forma di doppio DVD / Triplo CD (In DVD sono stati anche ristampati i primi due video della band, Live in Tokio e 5 Years in a Life Time).
Al momento la band è in tour con gli Yes; il futuro porterà questo "Live at the Budokan" prima, e poi chissà quali altre sorprese... i più affezionati al gruppo saranno senz'altro lì in prima fila pronti a godersele.
TEO pro- Cubista primitivus
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Numero di messaggi : 6
Data d'iscrizione : 21.07.09
Re: STORIA DEL PROGRESSIVE-ROCK
grande Teo, bel lavoro!
Anche a me i D.T. piacciono molto, ho solo però i primi 2 cd; all'inizio ero scettico, non credevo al mio amico che mi diceva "Prendili, sono un miracolo, hanno sintetizzato i Rush e i Metallica", ma invece mi sono dovuto ricredere!
Anche a me i D.T. piacciono molto, ho solo però i primi 2 cd; all'inizio ero scettico, non credevo al mio amico che mi diceva "Prendili, sono un miracolo, hanno sintetizzato i Rush e i Metallica", ma invece mi sono dovuto ricredere!
Ospite- Ospite
Re: STORIA DEL PROGRESSIVE-ROCK
beh dipende dai i cd cd che hai secondo il mio parere i migliori sono immage and word e Awake e poi se posso consigliarti prova ad ascoltare i Symphony X
TEO pro- Cubista primitivus
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Numero di messaggi : 6
Data d'iscrizione : 21.07.09
Re: STORIA DEL PROGRESSIVE-ROCK
In effetti i D.T. sono un bel gruppo...Anche se a mio gusto i TOOL sono una spanna sopra!
henry jop- Cubista primitivus
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Numero di messaggi : 44
Data d'iscrizione : 20.06.09
Re: STORIA DEL PROGRESSIVE-ROCK
mai sentiti cosa mi consigli!!!!!!
TEO pro- Cubista primitivus
-
Numero di messaggi : 6
Data d'iscrizione : 21.07.09
Re: STORIA DEL PROGRESSIVE-ROCK
eh eh....ottimi consigli
henry jop- Cubista primitivus
-
Numero di messaggi : 44
Data d'iscrizione : 20.06.09
Re: STORIA DEL PROGRESSIVE-ROCK
ragazzi, voi avete mai assistito a qualche concerto prog??
Ospite- Ospite
Re: STORIA DEL PROGRESSIVE-ROCK
certo, io ho visto tutti i concerti a Milano dei dream ,poi sono riuscito a vedere gli yes.Pensate che il primo concerto dei Dream, si e' tenuto all Rolling Stones, locale famoso a Milano, erano al loro secondo album ,Immage and Words e pochi li conoscevano ,beh alla fine del concerto, decidemmo di mangiarci un panino, in un classico baracchino lungo le strade di milano , per farla breve mentre eravamo li, si ferma un pullman ,e scende Mike Portnoy a prendersi un panino, con il mio inglese maccheronico ,abbiamo scambiato 4 chiacchere mi ha autografato la felpa; saluto see you soon man
TEO pro- Cubista primitivus
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Numero di messaggi : 6
Data d'iscrizione : 21.07.09
Re: STORIA DEL PROGRESSIVE-ROCK
mamma mia, gli yes!!!!!!!!!!!!! Azz, mi mancano, darei un occhio della testa x vederli...
Ospite- Ospite
Re: STORIA DEL PROGRESSIVE-ROCK
Ragazzi, mamma mia, mi complimenti per le vostre conoscenze musicali...i D.T. sono il mio guppo preferito, peccato che quì in Sicilia vederli è una cosa impossibile, purtroppo sono troppo lontano...e poi da quanto sono sposato con figli...diventerebbe difficile farsi un pò di chilometri per andarli a vedere.
Comunque veramente complimenti, è veramente difficile trovare, oggi, gente che ascolta vera musica.
Io ho cominciato suonando i Pink (lo ricorco come se fosse ieri)...poi gli Alan parson...i Marillion, gli Yes i Toto...e chi più ne ha più ne metta...ma dov'è andata a finire questa musica...alla radio si sente solo immondizia ...e poi cosa dire dei Dream che veramente sono la sintesi di tutto quello che era la musica di un tempo, io quanto li ascolo sento pure un pò di Pink Floyd...Petrucci è uno dei miei miti, è veramente un grande chitarrista (tecnico e con molto gusto)
Adesso è il caso che mi fermi...mi sto emozionando...sigh, sigh.
Comunque veramente complimenti, è veramente difficile trovare, oggi, gente che ascolta vera musica.
Io ho cominciato suonando i Pink (lo ricorco come se fosse ieri)...poi gli Alan parson...i Marillion, gli Yes i Toto...e chi più ne ha più ne metta...ma dov'è andata a finire questa musica...alla radio si sente solo immondizia ...e poi cosa dire dei Dream che veramente sono la sintesi di tutto quello che era la musica di un tempo, io quanto li ascolo sento pure un pò di Pink Floyd...Petrucci è uno dei miei miti, è veramente un grande chitarrista (tecnico e con molto gusto)
Adesso è il caso che mi fermi...mi sto emozionando...sigh, sigh.
gimar- Cubista primitivus
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Numero di messaggi : 95
Data d'iscrizione : 21.04.10
Re: STORIA DEL PROGRESSIVE-ROCK
Ragazzi ragazzi ragazzi ragazzi.... qui nessuno parla dei Transatlantic???
Mi sembra d'obbligo dato che i Dream Theater (mio gruppo preferito) stanno purtroppo cadendo vittima della commercializzazione e con gli ultimi lavori si sente, ahimè, tantissimo... confrontiamo Awake e Black Clouds, per esempio... i Transatlantic restano fedeli al vero progressive rock (e NON progressive metal, ben altra cosa), possiamo notarlo ascoltando il loro ultimo piccolo capolavoro, The Whirlwind. Coerenza. E' questo il motivo per cui, personalmente, in questo momento stimo più loro che i Dream Theater.
Mi sembra d'obbligo dato che i Dream Theater (mio gruppo preferito) stanno purtroppo cadendo vittima della commercializzazione e con gli ultimi lavori si sente, ahimè, tantissimo... confrontiamo Awake e Black Clouds, per esempio... i Transatlantic restano fedeli al vero progressive rock (e NON progressive metal, ben altra cosa), possiamo notarlo ascoltando il loro ultimo piccolo capolavoro, The Whirlwind. Coerenza. E' questo il motivo per cui, personalmente, in questo momento stimo più loro che i Dream Theater.
Lunga vita ai Transatlantic!
Taoprog- Cubista primitivus
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Numero di messaggi : 91
Data d'iscrizione : 05.07.10
Re: STORIA DEL PROGRESSIVE-ROCK
sarö sincero, mi mancano....
al piü presto cercherö di rimediare andando a sentirmi qualcosa di loro!
che consigli?
al piü presto cercherö di rimediare andando a sentirmi qualcosa di loro!
che consigli?
Ospite- Ospite
Re: STORIA DEL PROGRESSIVE-ROCK
the teacher ha scritto:sarö sincero, mi mancano....
al piü presto cercherö di rimediare andando a sentirmi qualcosa di loro!
che consigli?
L'ultimo album, The Whirlwind, è da favola secondo me, ma i miei gusti sono molto particolari... sono un batterista (e suono prog) dunque vedo i pezzi da un punto di vista differente da chi si limita ad ascoltarli senza dover partecipare ad essi, non so se mi spiego... comunque, come ho già detto, The Whirlwind, e poi permettimi di consigliarti Testimony, album da solista di Neal Morse con la partecipazione di Mike Portnoy alla batteria (come ormai tutti i suoi album da solista), a mio avviso un gran lavoro di prog leggero.
Buon ascolto!!
Taoprog- Cubista primitivus
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Numero di messaggi : 91
Data d'iscrizione : 05.07.10
Re: STORIA DEL PROGRESSIVE-ROCK
ok grazie!!! Wow un drummer nel forum, che bello!
Pensa che sulla scrivania ho la foto di Neil Peart e me la bacio tutte le mattine appena sveglio....
Pensa che sulla scrivania ho la foto di Neil Peart e me la bacio tutte le mattine appena sveglio....
Ospite- Ospite
Re: STORIA DEL PROGRESSIVE-ROCK
the teacher ha scritto:ok grazie!!! Wow un drummer nel forum, che bello!
Pensa che sulla scrivania ho la foto di Neil Peart e me la bacio tutte le mattine appena sveglio....
Ahah è troppo forte Peart! :D
Taoprog- Cubista primitivus
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Numero di messaggi : 91
Data d'iscrizione : 05.07.10
Re: STORIA DEL PROGRESSIVE-ROCK
Rush rules!!!!!!!!! Dopo di loro il nulla.....
sono andato a vederli 2 volte, sono un loro ultras!!!!!!!!!!!
sono andato a vederli 2 volte, sono un loro ultras!!!!!!!!!!!
Ospite- Ospite
Re: STORIA DEL PROGRESSIVE-ROCK
I Rush sono stati tra i modelli a cui si sono attenuti i Dream Theater (e credo tutti i gruppi prog, chi più chi meno ovviamente)... anche se in minor quantità rispetto ad altri gruppi storici direi che hanno avuto il loro pezzo di storia della musica. Onore ai Rush! ;)
Taoprog- Cubista primitivus
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Numero di messaggi : 91
Data d'iscrizione : 05.07.10
Re: STORIA DEL PROGRESSIVE-ROCK
All of the above. E' impossibile da descrivere, dovete ascoltarla!
I link sono in ordine. Il primo riporta alla prima parte, il secondo alla seconda e il terzo... ovviamente alla terza.
E' UN BRANO CHE DURA PIU' DI MEZZ'ORA dunque chi non è abituato al prog dovrebbe stare alla larga ;)
buon ascolto!
https://www.youtube.com/watch?v=ugC1CKlAZB4&feature=related
https://www.youtube.com/watch?v=b-pZL_gUvvg&feature=related
https://www.youtube.com/watch?v=WzA-wxVm_y8&feature=related
I link sono in ordine. Il primo riporta alla prima parte, il secondo alla seconda e il terzo... ovviamente alla terza.
E' UN BRANO CHE DURA PIU' DI MEZZ'ORA dunque chi non è abituato al prog dovrebbe stare alla larga ;)
buon ascolto!
https://www.youtube.com/watch?v=ugC1CKlAZB4&feature=related
https://www.youtube.com/watch?v=b-pZL_gUvvg&feature=related
https://www.youtube.com/watch?v=WzA-wxVm_y8&feature=related
Taoprog- Cubista primitivus
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Numero di messaggi : 91
Data d'iscrizione : 05.07.10
Re: STORIA DEL PROGRESSIVE-ROCK
grandissimi...
mamma mia c'è tutto: dai Rush ai King Crimson passando per gli ELP!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
mamma mia c'è tutto: dai Rush ai King Crimson passando per gli ELP!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Ospite- Ospite
Re: STORIA DEL PROGRESSIVE-ROCK
the teacher ha scritto:grandissimi...
mamma mia c'è tutto: dai Rush ai King Crimson passando per gli ELP!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Concordo!
Taoprog- Cubista primitivus
-
Numero di messaggi : 91
Data d'iscrizione : 05.07.10
Re: STORIA DEL PROGRESSIVE-ROCK
beh, dato che ci siamo citiamo i Sommi Maestri....
ecco una delle prime e + belle hard prog rock opera di tutti i tempi!!
https://www.youtube.com/watch?v=eEW2-k0EoyE
https://www.youtube.com/watch?v=SozTRnBbTsU&feature=related
ecco una delle prime e + belle hard prog rock opera di tutti i tempi!!
https://www.youtube.com/watch?v=eEW2-k0EoyE
https://www.youtube.com/watch?v=SozTRnBbTsU&feature=related
Ospite- Ospite
Re: STORIA DEL PROGRESSIVE-ROCK
Te le immagini tutte queste canzoni reincise fedelmente però con le tecniche di registrazione e mixaggio attuali? Peccato che nessuno si prenda l'impegno...
Taoprog- Cubista primitivus
-
Numero di messaggi : 91
Data d'iscrizione : 05.07.10
LA GRANDE TRUFFA DEL ROCK’N’ROLL ovvero la storia del rock secondo la scienza dello spirito.
Ricorderete senz’altro il film-manifesto
“The great rock’n’roll swindle” con la colonna sonora dei Sex Pistols,
gruppo-guida del “punk”, fenomeno esploso in Gran Bretagna e USA nella seconda
metà dei ’70.
L’idea di fondo del movimento – forma
tipica di sottocultura - era quella di ridurre al livello più basso tutte le
espressioni del linguaggio e del costume, consentendo a chiunque di ergersi ad
“artista creativo” utilizzando mezzi rozzi e sconnessi, il tutto animato quasi
da una cieca volontà di abbrutimento totale, una sorta di devoluzione inevitabile.
L’avvento del punk pose drasticamente
fine al sogno impressionista ed intimista del progressive, stile fondato su
basi completamente opposte, cioè elevare a forma d’arte il rock primigenio
attingendo soprattutto alla tradizione colta europea, oltreché alle culture
musicali esotiche. In buona sostanza, il progressive (è una definizione di
comodo) è fondamentalmente musica raffinata e libera, svincolata dalle
ideologie sociali e dalle imposizioni aprioristiche del mercato.
Fu proprio l’intellighenzia inglese per
prima a ripudiare il rock progressivo - definito anche “decadente” - (da
ricordare, per esempio, le aspre critiche allo stile chitarristico di Robert
Fripp, poiché svincolato dalla tradizione blues), visto come espressione della
borghesia benestante, mentre esaltò il punk in quanto espressione della cultura
proletaria o comunque dell’alienazione di una gioventù senza speranze di
riscatto sociale.
Tra i personaggi che promossero il progressive va sicuramente citato
Tony Stratton-Smith, fondatore dell’etichetta “Charisma”, la quale annoverava i
Genesis, i Van Der Graaf, i Rare Bird ecc.. ; non dimentichiamo che questi
gruppi, insieme ai King Crimson, gli Yes, i Gentle Giant ed altri, furono
sostenuti con entusiasmo dai giovani dell’Europa continentale
(Italia in testa), i quali acquistarono i loro dischi praticamente col
passaparola….
Da tempo, questi personaggi fondamentali – i talent scout – definibili
come imprenditori illuminati amanti dell’arte, sono totalmente assenti dalla scena
artistica, sostituiti da manager politicizzati privi di senso estetico e
rappresentanti del “pensiero debole” populista.
Il ’77 fu teatro di un drastico
cambiamento di rotta, culturale e politico: aumento esponenziale del conflitto
sociale e delle violenze ai concerti (all’insegna di “musica gratis per tutti”),
consolidamento del terrorismo armato, diffusione sistematica dell’eroina in
sostituzione del hascish, tanto per citarne alcuni.
Di pari passo, i modelli culturali si
spostarono su parametri decisamente restrittivi: l’arte doveva essere al
servizio della denuncia sociale e politica (piuttosto che espressione dell’interiorità
e dell’elevazione umana) e “chiunque” poteva accedere alla fase creativa, secondo i paradigma della "musica gratis
per tutti" e "tutti sono artisti".
Da questo momento è partita una spirale verso il basso che ha portato
all'avvento del karaoke, dello strapotere dei DJ, del rap e finendo con
l'aberrazione dei concorsi-reality come “Amici” e “X Factor” (a cui
partecipano, voglio ricordarlo, paladini della 'alternativa' come Elio ed
Enrico Ruggeri …. (sig!), non tanto diversi da trasmissioni come Il Grande
Fratello o L'Isola Dei Famosi.
Oltretutto, molti personaggi di spicco della scena musicale dei '70
(sia musicisti che produttori) sono passati dalla parte opposta, avallando un
sistema dedito alla produzione di massa, non certo alla diffusione dell'arte
musicale. Bisogna dire, invece, che colpisce positivamente e rallegra il fatto
che tanti "ragazzi del '90" (i ventenni di oggi) amino e prendano
come riferimento la musica prodotta 40 anni fa, rendendosi conto che tra questa
e la produzione attuale c’è un abisso!
Oggi riescono a sopravvivere nel mercato musicale solo gli artisti che
hanno riscosso consensi entro gli anni '80, poi dall'inizio degli anni '90 (dal
periodo di Tangentopoli), le porte si sono irrimediabilmente chiuse e da allora
la scena musicale è popolata in grandissima parte da personaggi di scarso
livello, “portatori d’acqua” dell’ideologia dominante (prevalentemente di
sinistra o, se vogliamo, catto-comunista).
La produzione artistica di questo ultimo “ventennio” è caratterizzata
in effetti da questo strano matrimonio: il populismo progressista come modello
culturale diffuso ed il capitalismo corporativista come strumento di produzione
di massa, insieme complici al fine di ottenere il massimo consenso ed il
massimo profitto possibili senza curarsi della qualità delle idee e dei beni in
gioco.
Nel nostro Paese, i vari Jovanotti, Caparezza, Capossela, Ligabue -
tanto per fare dei nomi - elevati a guru della kultura di sinistra, sono in
realtà autori ed interpreti perlopiù di canzonette da villaggio turistico,
privi di spessore artistico e di ispirazione autentica.
E’ chiaro che questa prassi poggia essenzialmente sull’appiattimento
generale dei valori e fa leva sugli istinti più bassi dell’essere umano,
avallando e sostenendo cioè modelli culturali di bassissimo profilo con cui il
mediocre diventa protagonista assoluto della scena. La struttura stessa del
sistema - i suoi processi produttivi, promozionali e distributivi - impedisce
di fatto anche la sola visibilità di opere ed artisti che frequentano territori
diversificati e più profondi.
In pratica si attua una “censura” dal basso, dove il vero
censore, oggi, non è un organo amministrativo o governativo, ma
"l'uomo-massa" che con la sua totale mancanza di discernimento e
senso estetico (Estetica come principio di verità) lascia che la bruttura e la
menzogna dilaghino, senza opporre resistenza. Ciò che è accettato dalla maggioranza diventa
“il bene” e chi non si conforma viene automaticamente isolato: basti vedere
come è utilizzato il web, palcoscenico in gran parte dominato da milioni di
cerebrolesi che si mettono in mostra offrendo nient'altro che mediocrità e
brutalità, fatte passare come arte o ironia e comicità!
Quanto esposto può sembrare un quadro
pessisimistico, ma è la realtà; realtà che non dobbiamo né accettare né
alimentare, ma contrastare prendendo posizioni attive opposte, come convitati
di pietra - Moai del XXI secolo – affinchè si possa creare un contrappeso per
bilanciare questa bramosia di “apparire” della maggioranza, follia collettiva
senza precedenti nella Storia umana.
“The great rock’n’roll swindle” con la colonna sonora dei Sex Pistols,
gruppo-guida del “punk”, fenomeno esploso in Gran Bretagna e USA nella seconda
metà dei ’70.
L’idea di fondo del movimento – forma
tipica di sottocultura - era quella di ridurre al livello più basso tutte le
espressioni del linguaggio e del costume, consentendo a chiunque di ergersi ad
“artista creativo” utilizzando mezzi rozzi e sconnessi, il tutto animato quasi
da una cieca volontà di abbrutimento totale, una sorta di devoluzione inevitabile.
L’avvento del punk pose drasticamente
fine al sogno impressionista ed intimista del progressive, stile fondato su
basi completamente opposte, cioè elevare a forma d’arte il rock primigenio
attingendo soprattutto alla tradizione colta europea, oltreché alle culture
musicali esotiche. In buona sostanza, il progressive (è una definizione di
comodo) è fondamentalmente musica raffinata e libera, svincolata dalle
ideologie sociali e dalle imposizioni aprioristiche del mercato.
Fu proprio l’intellighenzia inglese per
prima a ripudiare il rock progressivo - definito anche “decadente” - (da
ricordare, per esempio, le aspre critiche allo stile chitarristico di Robert
Fripp, poiché svincolato dalla tradizione blues), visto come espressione della
borghesia benestante, mentre esaltò il punk in quanto espressione della cultura
proletaria o comunque dell’alienazione di una gioventù senza speranze di
riscatto sociale.
Tra i personaggi che promossero il progressive va sicuramente citato
Tony Stratton-Smith, fondatore dell’etichetta “Charisma”, la quale annoverava i
Genesis, i Van Der Graaf, i Rare Bird ecc.. ; non dimentichiamo che questi
gruppi, insieme ai King Crimson, gli Yes, i Gentle Giant ed altri, furono
sostenuti con entusiasmo dai giovani dell’Europa continentale
(Italia in testa), i quali acquistarono i loro dischi praticamente col
passaparola….
Da tempo, questi personaggi fondamentali – i talent scout – definibili
come imprenditori illuminati amanti dell’arte, sono totalmente assenti dalla scena
artistica, sostituiti da manager politicizzati privi di senso estetico e
rappresentanti del “pensiero debole” populista.
Il ’77 fu teatro di un drastico
cambiamento di rotta, culturale e politico: aumento esponenziale del conflitto
sociale e delle violenze ai concerti (all’insegna di “musica gratis per tutti”),
consolidamento del terrorismo armato, diffusione sistematica dell’eroina in
sostituzione del hascish, tanto per citarne alcuni.
Di pari passo, i modelli culturali si
spostarono su parametri decisamente restrittivi: l’arte doveva essere al
servizio della denuncia sociale e politica (piuttosto che espressione dell’interiorità
e dell’elevazione umana) e “chiunque” poteva accedere alla fase creativa, secondo i paradigma della "musica gratis
per tutti" e "tutti sono artisti".
Da questo momento è partita una spirale verso il basso che ha portato
all'avvento del karaoke, dello strapotere dei DJ, del rap e finendo con
l'aberrazione dei concorsi-reality come “Amici” e “X Factor” (a cui
partecipano, voglio ricordarlo, paladini della 'alternativa' come Elio ed
Enrico Ruggeri …. (sig!), non tanto diversi da trasmissioni come Il Grande
Fratello o L'Isola Dei Famosi.
Oltretutto, molti personaggi di spicco della scena musicale dei '70
(sia musicisti che produttori) sono passati dalla parte opposta, avallando un
sistema dedito alla produzione di massa, non certo alla diffusione dell'arte
musicale. Bisogna dire, invece, che colpisce positivamente e rallegra il fatto
che tanti "ragazzi del '90" (i ventenni di oggi) amino e prendano
come riferimento la musica prodotta 40 anni fa, rendendosi conto che tra questa
e la produzione attuale c’è un abisso!
Oggi riescono a sopravvivere nel mercato musicale solo gli artisti che
hanno riscosso consensi entro gli anni '80, poi dall'inizio degli anni '90 (dal
periodo di Tangentopoli), le porte si sono irrimediabilmente chiuse e da allora
la scena musicale è popolata in grandissima parte da personaggi di scarso
livello, “portatori d’acqua” dell’ideologia dominante (prevalentemente di
sinistra o, se vogliamo, catto-comunista).
La produzione artistica di questo ultimo “ventennio” è caratterizzata
in effetti da questo strano matrimonio: il populismo progressista come modello
culturale diffuso ed il capitalismo corporativista come strumento di produzione
di massa, insieme complici al fine di ottenere il massimo consenso ed il
massimo profitto possibili senza curarsi della qualità delle idee e dei beni in
gioco.
Nel nostro Paese, i vari Jovanotti, Caparezza, Capossela, Ligabue -
tanto per fare dei nomi - elevati a guru della kultura di sinistra, sono in
realtà autori ed interpreti perlopiù di canzonette da villaggio turistico,
privi di spessore artistico e di ispirazione autentica.
E’ chiaro che questa prassi poggia essenzialmente sull’appiattimento
generale dei valori e fa leva sugli istinti più bassi dell’essere umano,
avallando e sostenendo cioè modelli culturali di bassissimo profilo con cui il
mediocre diventa protagonista assoluto della scena. La struttura stessa del
sistema - i suoi processi produttivi, promozionali e distributivi - impedisce
di fatto anche la sola visibilità di opere ed artisti che frequentano territori
diversificati e più profondi.
In pratica si attua una “censura” dal basso, dove il vero
censore, oggi, non è un organo amministrativo o governativo, ma
"l'uomo-massa" che con la sua totale mancanza di discernimento e
senso estetico (Estetica come principio di verità) lascia che la bruttura e la
menzogna dilaghino, senza opporre resistenza. Ciò che è accettato dalla maggioranza diventa
“il bene” e chi non si conforma viene automaticamente isolato: basti vedere
come è utilizzato il web, palcoscenico in gran parte dominato da milioni di
cerebrolesi che si mettono in mostra offrendo nient'altro che mediocrità e
brutalità, fatte passare come arte o ironia e comicità!
Quanto esposto può sembrare un quadro
pessisimistico, ma è la realtà; realtà che non dobbiamo né accettare né
alimentare, ma contrastare prendendo posizioni attive opposte, come convitati
di pietra - Moai del XXI secolo – affinchè si possa creare un contrappeso per
bilanciare questa bramosia di “apparire” della maggioranza, follia collettiva
senza precedenti nella Storia umana.
Re: STORIA DEL PROGRESSIVE-ROCK
come non condividere quello che hi scritto?
lunga vita al prog!
lunga vita al prog!
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